miércoles, 11 de abril de 2007

Uttara Khanda

UTTARA KANDA92 L'arrivo dei saggiPassarono gli anni. Rama governava con giustizia e virtù, e tutti erano felici del suo governo. I tempi bui dell'esilio e del conflitto con i Rakshasa sembravano non essere mai accaduti. Sita e Rama vissero insieme felicemente. Un giorno alcuni famosi saggi, tra i quali Agastya, andarono a trovare Rama per congratularsi con lui dell'importante vittoria ottenuta contro Ravana. Appena seppe del loro arrivo in città, Rama andò loro personalmente incontro e li ricevette con grandi onori. Dopo aver celebrato il puja , Rama si sedette per ascoltarli.
“La tua vittoria è stata una grande fortuna per tutti,” disse Agastya. “Hai ucciso il mostro Ravana che era come una spina nel fianco del mondo. E grazie a te, oltre a Ravana, altri esseri malvagi sono morti: l'invincibile Kumbhakarna, Mahodara, Prahasta e molti altri.”
Agastya guardò gli altri saggi e sorrise.
“Ma tutto ciò per noi non è stato sorprendente quanto il fatto che tu sia riuscito ad uccidere Indrajit, il figlio di Ravana. Lui era quello che ci preoccupava più di tutti: per lui avevamo dei dubbi circa la vittoria finale.”
Rama era curioso di sapere come mai i saggi dessero tanta importanza a Indrajit. Chiese loro le ragioni.
“A Lanka c'erano grandi e potentissimi Rakshasa che possedevano poteri sovrannaturali,” domandò. “Ma mi è sembrato di capire che a vostro avviso Indrajit avesse un'importanza e un potere particolare. Potete dirmi perché? E i Rakshasa, potete raccontarmi come questa stirpe di esseri sia venuta ad esistere?”
“Sì,” Agastya Muni replicò, “ti racconterò la storia di Ravana e della discendenza dei Rakshasa.”

93 Il saggio Pulastya“Nell'età dell'oro viveva un grande santo di nome Pulastya, che era figlio di Brahma. Pulastya era un saggio esemplare e risiedeva in un incantevole eremo sulle pendici del monte Meru. In quel luogo pacifico e silenzioso vivevano molti altri eremiti, fra cui il re Trinavindu, che aveva rinunciato al trono ed era diventato un asceta.
“In quel luogo santo, dove la recitazione dei versi sacri dei Veda era il suono principale, le figlie degli eremiti giocavano fra di loro, suonavano strumenti musicali, cantavano e danzavano. La ragazze facevano tutto ciò con innocenza, non certo con l'obiettivo di importunare nessuno, ma di fatto il saggio Pulastya era disturbato dal rumore di quei giochi frivoli. Le meditazioni e le austerità erano rese talvolta difficili. Quando un giorno il frastuono si fece assordante, il saggio perse la pazienza e disse a voce alta, in modo che le ragazze potessero sentirlo:
“La prossima di voi sulla quale si poseranno i miei occhi resterà incinta.”
“Le ragazze fuggirono spaventate, promettendo che mai più sarebbero tornate nei paraggi. Poco dopo, ignara dell'accaduto, passò di là la figlia di Trinavindu alla ricerca delle sue amiche. Non le trovò, ma mentre le cercava sentì il saggio Pulastya che recitava i versi dei Veda. Quelle vibrazioni erano così attraenti che la ragazza si avvicinò all'eremo e incantata rimase ad ascoltare. Finché il saggio la vide. Per effetto della maledizione, chiari segni della gravidanza si manifestarono sul suo corpo. La ragazza non capiva cosa le stesse succedendo e, impaurita, corse dal padre. Trinavindu vide che la figlia era incinta e, rassicurato sul fatto che non avesse avuto rapporti sessuali con nessun uomo, si chiese cosa potesse essere successo. Nella meditazione comprese tutto. Presa per mano sua figlia, andò dal venerabile Rishi Pulastya.
“Mia figlia genererà presto un figlio che è tuo. Accettala come sposa. Lei ti aiuterà nella tua vita.”
“Pulastya accettò, contento di aver ottenuto una buona moglie.
“Giacché questo figlio è nato a causa dell'attrazione della madre per l'ascolto dei sacri Veda,” dichiarò il saggio, “il suo nome sarà Vishrava.”

94 Vishrava - Nascita di Kuvera“Il bambino nacque. Man mano che cresceva si potevano notare in lui le stesse grandi qualità del padre. Quando Vishrava arrivò all'adolescenza, il saggio Bharadvaja gli offrì sua figlia in moglie e Vishrava accettò. Quella ragazza si chiamava Devavarnini . “Vishrava ebbe un figlio al quale impose il nome di Vaishravana. Egli sarebbe diventato Kuvera, il Deva delle ricchezze, il quarto guardiano dell'universo.”
“Dopo aver compiuto grandi austerità e dopo aver soddisfatto Brahma, Vaishravana fu benedetto. Divenne il Deva delle ricchezze e Brahma gli conferì, insieme a Yama, Indra e Varuna, la responsabilità di proteggere una parte del creato. Brahma gli donò anche un carro celestiale straordinariamente bello che si chiamava Pushpaka. Dopo aver ottenuto ciò che desiderava, Vaishravana andò a trovare il padre.
“Brahma mi ha dato ciò che volevo,” lo informò, “ma non mi ha assegnato un posto dove vivere. Dimmi tu quindi dove posso andare ad abitare.”
“C'è una città meravigliosa,” rispose Vishrava dopo aver riflettuto, “che fu costruita da Visvakarma e dove i Rakshasa avevano vissuto. Ma molto tempo fa, per paura di Vishnu, la abbandonarono per fuggire a Rasatala. La città si chiama Lanka, ed è la giusta dimora per te. Vai quindi a prenderne possesso.”
“Kuvera andò a Lanka, ne prese possesso e regnò con grande rettitudine.”

95 La stirpe originale dei RakshasaRama fu colpito da un particolare nella narrazione di Agastya, e gli chiese spiegazioni.
“Tu hai detto che Vaishravana occupò Lanka, una città che era stata occupata dai Rakshasa. Ma a quel tempo Ravana non era ancora nato. Era esistita forse un'altra razza Rakshasa precedente a Ravana?”
Agastya si preparò a rispondere all'osservazione di Rama.
“All'inizio della creazione Brahma creò le acque dell'oceano e alcune entità viventi che le proteggessero. Ma questi esseri furono afflitti dalla fame e dalla sete. Non riuscendo più a tollerarle, andarono da Brahma. E il grande architetto dell'universo disse:
“Il vostro dovere è quello di proteggere queste acque.”
“Alcuni di coloro che avevano fame e sete dissero:
“Noi le proteggeremo.”
“E altri dissero:
“Noi mangeremo.”
“E Brahma replicò:
“Chi di voi intendeva obbedire alle mie istruzioni e ha detto ‘noi le proteggeremo’ diventeranno potenti Rakshasa, e chi di voi voleva cedere alla fame e ha detto ‘noi mangeremo’ diventeranno Yaksha.”
“Da allora iniziarono queste due differenti stirpi di esseri.

96 La genealogia dei Rakshasa“I potenti capi dei Rakshasa erano Heti e Praheti. Quest'ultimo si ritirò nella foresta per dedicare la sua vita alle pratiche ascetiche, mentre Heti volle trovare una brava moglie. Di propria iniziativa sposò Bhaya, la sorella di Kala, ed ebbero un figlio chiamato Vidyutkesha.
“Quando raggiunse l'adolescenza, Vidyutkesha sposò Salakantaka, la figlia di Sandhya. Quando la Rakshasi partorì il primo figlio, non lo volle e lo abbandonò in una foresta del monte Mandara. Il bambino era luminoso come il sole, ma vedendosi abbandonato piangeva piano per la paura. In quel momento Shiva e Parvati passavano di là e sentirono il vagito di un bimbo. Così Parvati volle fermarsi e vedere chi fosse. Vedendo il neonato, Parvati sentì una profonda compassione per quel bambino abbandonato, e chiese al marito di aiutarlo. Così Shiva lo fece crescere immediatamente fino all'età della madre e lo rese immortale. Inoltre gli donò una città incantata che poteva andare ovunque senza restrizioni. Scorgendo nei loro cuori una particolare predisposizione verso le gioie della vita materiale, Parvati dette a tutte le Rakshasi il potere di partorire nel giorno stesso del concepimento e concesse che i loro figli sarebbero cresciuti subito fino all'età della madre. Il bambino nato da Vidyutkesha e Salakantaka si chiamò Sukesha. “Quando il Gandharva Grahmani seppe che Sukesha era stato benedetto da Shiva, gli offrì sua figlia Devavati in sposa. Ed ebbero tre figli: Malyavan, Sumali e Mali.

97 I Rakshasa a Lanka“Erano, questi, tre mostri malvagi che praticarono grandi austerità e causarono grandi sofferenze a chiunque incontrassero. Dopo molto tempo Brahma accordò loro le benedizioni che desideravano. I tre Rakshasa sapevano di essere invincibili e che potevano essere distrutti solo se avessero litigato fra loro. La benedizione che chiesero, quindi, fu quella di essere sempre pieni d'amore fraterno l'uno per l'altro. Brahma così li rese ancora più forti e li benedisse a godere di una lunga vita.
“Vittoriosi, cominciarono a viaggiare, uccidendo e saccheggiando. Un giorno si recarono da Visvakarma, l'architetto dei Deva, e gli chiesero di costruire una città proporzionata alla loro grandezza. Visvakarma rispose:
“Per volere di Indra ho costruito una città chiamata Lanka. Io penso che sia adatta alla vostra gloria. Andate a prenderne possesso.”
“Così fecero.
“E nei pressi della città di Lanka viveva una Gandharvi di nome Narmada, la quale aveva tre figlie. Volontariamente le offrì in spose ai tre Rakshasa.
“Malyavan sposò Sundari ed ebbe i seguenti figli: Vajramusti, Virupaksha, Dunmukha, Suptaghna, Yajnakopa, Matta e Unmatta. Ebbero anche una figlia di nome Anala.
“Sumali sposò Ketumati ed ebbe i seguenti figli: Prahasta, Akampana, Vikata, Kalikamukha, Dhumraksha, Danda, Suparsva, Samhradi, Praghasa e Bhasakarna. Ebbe anche le seguenti figlie: Raka, Puspotkata, Kaikasi e Kumbhinasi.
“Mali sposò Vasuda ed ebbe i seguenti figli: Anala, Anila, Ilara e Sampati. Tutti questi erano ministri di Vibhisana.

98 Vittorie e sconfitte“Aiutati dai loro numerosi figli e nipoti, i tre fortissimi Rakshasa si inebriarono del loro potere e divennero ancora più crudeli. Quindi dichiararono guerra ai Deva, ai Naga e agli Yaksha, e molestarono i saggi impedendo loro i sacrifici. Sconfitti in battaglia, i Deva chiesero aiuto a Shiva ma egli, ricordando l'affetto per il loro padre, non se la sentì di ucciderli.
“Andate da Vishnu,” disse ai Deva. “Sicuramente vi aiuterà.”
“I Deva si recarono da Vishnu e ottennero il suo favore e la promessa di un aiuto.
“Andate sicuri,” li rassicurò, “al momento giusto io interverrò.”
“Nel frattempo i Rakshasa vennero a sapere che i Deva avevano chiesto aiuto a Vishnu e ne furono fortemente contrariati. Per questo decisero di distruggere tutti i pianeti celesti con i loro abitanti. Seguiti da un grosso esercito, lascia-rono Lanka e si diressero verso i mondi superiori. Durante il viaggio scorsero cattivi presagi, ma erano troppo arroganti e sicuri della loro forza per preoccuparsi.
“Nel frattempo Vishnu era venuto a conoscere le intenzioni dei Rakshasa e intervenne. Trasportato da Garuda, il Signore li attaccò e li massacrò a migliaia: molti fuggirono. Anche Sumali fu sconfitto. Poi il coraggioso Mali attaccò il suo nemico, ma fu ucciso, decapitato dal Sudarshana-Chakra. Mali era il più giovane dei tre, ma era anche il più forte. Vedendo Mali morto, gli altri Rakshasa si persero d'animo e fuggirono verso Lanka, inseguiti da Vishnu. Dopo molto tempo, gli spaventati Rakshasa decisero di abbandonare l'isola e di rifugiarsi a Rasatala.
“O Rama,” disse Agastya, “devi sapere che quei Rakshasa erano molto più forti di Ravana.”
99 I Rakshasa della stirpe di Pulastya“Ora conosci l'origine della stirpe dei Rakshasa,” riprese Agastya dopo una breve interruzione. “Ora ti racconterò la storia dei Rakshasa che provengono dalla linea di Pulastya e come le due linee si congiunsero. Ascoltami attentamente.
“Passarono anni di tormento per Sumali che, terrorizzato al solo pensiero di Vishnu, abitava in una città del pianeta Rasatala. In quel periodo Kuvera aveva preso possesso di Lanka.
“Un giorno Sumali, portando con sé la sua bellissima figlia, tornò su questo pianeta e prese a vagare senza meta. E gli capitò di vedere Kuvera che andava a trovare Vishrava, suo padre. Sumali, che non lo aveva mai visto prima di allora, rimase incantato dallo splendore di Kuvera e anche quando fu tornato a Rasatala non riusciva a dimenticare tutte quelle opulenze. Sumali, che voleva assicurare un futuro ai suoi discendenti, pensava a come ottenere la stessa ricchezza di Kuvera. Escogitò un piano.
“Sumali pensò di dare sua figlia Kaikasi in sposa a Vishrava, con la speranza che i figli nati da lei avrebbero avuto lo stesso potere di Kuvera e avrebbero risollevato le sorti della loro stirpe. Istruita su ciò che doveva fare, Kaikasi andò nell'eremo di Vishrava e vi entrò proprio mentre il saggio era impegnato in alcuni sacrifici. Ignorando che il momento non era affatto propizio, si presentò al saggio. Vedendo la casta ragazza, Vishrava le chiese cosa desiderasse, ma lei non rispose.
“Capendo tutto da solo, disse:
“Io ti accetto come moglie, ma sappi che sei arrivata in un momento sfavorevole, e che quindi i nostri figli causeranno a tutti molta sofferenza.”
“Kaikasi ebbe paura e disse:
“Signore, non voglio figli empi.”
“E Vishrava rispose:
“C'è un preciso disegno divino oltre il quale nessuno può andare. Ma i primi tre figli saranno in accordo al carattere della tua famiglia, mentre il quarto sarà in accordo alla mia.”
100 Nascita di Ravana e dei suoi fratelli“Nel corso del tempo nacque il primo figlio, un terribile Rakshasa con dieci teste e venti braccia. Per questo motivo Vishrava chiamò il primogenito Dasagriva, che in seguito sarebbe stato conosciuto come Ravana. Il secondo figlio di Kaikasi fu Kumbhakarna, un altro terribile mostro. Il terzo fu una femmina e fu chiamata Surpanakha. Il quarto il virtuoso Vibhisana.
“Qualche anno dopo, mentre Kaikasi sbrigava alcune faccende nell'eremo con i suoi quattro figli, Kuvera andò a trovare suo padre. Al suo arrivo tutto sembrò illuminarsi di splendore e di opulenza, sotto gli occhi stupiti dei ragazzi.
“Guarda, Dasagriva, le ricchezze del tuo fratellastro,” disse Kaikasi. “Tu sai come i Rakshasa vivano in povertà e si nascondano perché hanno paura di essere uccisi da Vishnu. Non credi sia il tuo dovere di cercare opulenze simili? E non solo per te, ma anche per il benessere e la prosperità della tua razza.”
“Dasagriva guardava Kuvera intensamente e provò una fortissima invidia. Il giorno stesso, prendendo con sé Kumbhakarna e Vibhisana, partì per Gokarna, deciso a ottenere i favori di Brahma. Aveva solo un pensiero fisso nella mente: diventare più potente di Kuvera.

101 Le loro austerità“Kumbhakarna eseguì austerità insopportabili per chiunque, che durarono diecimila anni e così fece anche Vibhisana. Ravana non mangiò per tutti quegli anni e al termine di ogni millennio offriva al fuoco del sacrificio una delle sue teste. Alla fine, visto che Brahma non appariva, decise di offrire la sua ultima testa. Allora il glorioso Brahma comparve e lo fermò.
“Cosa vuoi da me?” chiese Brahma.
“Ho compiuto tutte queste austerità perché voglio l'immortalità,” rispose il Rakshasa.
“Non posso darti l'immortalità. Chiedi qualcos'altro.”
“Voglio che nessuno abbia il potere di uccidermi, né i Suparna, né i Naga,” replicò allora Ravana, “né gli Yaksha, né i Daitya, né i Danava, né i Rakshasa e neanche i Deva...”
“Ravana non menzionò la razza umana perché pensava di essere troppo forte per essere sconfitto da un semplice uomo. Questa arroganza fu la causa della sua fine.
“Questo te lo posso accordare,” dichiarò Brahma. “Inoltre riavrai le teste che hai tagliato durante questi anni e ti conferirò il potere di assumere qualsiasi forma a piacimento.”
“Dasagriva si sentì soddisfatto. Poi Brahma andò da Vibhisana e gli chiese:
“Cosa vuoi da me?”
“Voglio che la mia mente sia sempre assorta in pensieri spirituali,” rispose lui. “Inoltre desidero possedere l'arma suprema, il brahmastra.”
“Brahma fu così compiaciuto da Vibhisana che gli conferì la sua stessa durata di vita.
“Poi andò da Kumbhakarna per chiedergli cosa desiderasse, quando i Deva allarmati lo fermarono e gli dissero:
“Signore, Kumbhakarna è il mostro più potente e malvagio che sia mai esistito. Se tu gli conferisci altri poteri, sarà impossibile controllarlo. Sarebbe capace di divorare tutti gli esseri del creato.”
“Allora Brahma chiamò sua moglie Sarasvati e la pregò di manifestarsi nella bocca di Kumbhakarna. Quindi Brahma chiese:
“Cosa desideri da me?”
“Confuso da Sarasvati, il Rakshasa rispose:
“Voglio dormire per molto tempo.”
“Così il benessere dell'universo fu protetto.

102 Ravana riconquista Lanka“Appena Sumali venne a sapere che il nipote aveva ottenuto benedizioni da Brahma, riprese coraggio e tornò sulla terra con tutti i Rakshasa. Insieme andarono da Ravana e si felicitarono con lui.
“Abbiamo saputo del successo ottenuto grazie alle tue austerità,” gli dissero. “Ora utilizza la potenza che hai accumulato per riconquistare Lanka e guadagnare grandi ricchezze. Sii la nostra guida e governa su tutti noi.”
“Riconquistare Lanka significava far guerra contro Kuvera. Dapprima Ravana sembrò titubante, considerato il vincolo di parentela che li univa, poi la sua natura malvagia e grossolana ebbe il sopravvento. Per prima cosa andò da suo padre, Vishrava, e gli chiese il permesso di riprendere Lanka per i Rakshasa.
“Vuoi ridare Lanka ai Rakshasa?” chiese Vishrava allarmato. “No, non farlo. È ingiusto ed empio. Ti proibisco di farlo.”
“Ma Ravana insistette. Rifiutò di obbedire all'ordine del padre. Che lo maledisse.
“Giacché tu non vuoi obbedire a tuo padre, sappi che nei momenti di maggiore bisogno perderai il buon senso.”
“Questa maledizione gli sarebbe stata fatale, perché Ravana, avendo perso la concezione del giusto e dello sbagliato, rapì Sita, commettendo il più grave errore della sua vita.
“Quindi Prahasta fu mandato come messaggero da Kuvera, il quale offrì di dividere l'isola con il fratellastro. Ma la convivenza sarebbe stata impossibile: ben lo sapeva Vishrava che gli consigliò di abbandonare la città e andare a vivere a Kailasa. Obbediente agli ordini del padre, Kuvera così fece.
“Ravana entrò trionfalmente a Lanka e fu incoronato re dei Rakshasa.

103 Il matrimonio di Ravana“Dopo qualche tempo Ravana organizzò il matrimonio della sorella Surpanakha con Vidyujjihva, capo dei Danava. Poi andò a caccia nella foresta e lì incontrò Maya Danava, il figlio di Diti, con sua figlia. Era depresso, triste, sembrava infelice.
“Perché sei così triste? Cosa ti succede?” gli chiese.
“Mia moglie si chiama Hema,” raccontò Maya Danava, “una stupenda Apsara. Da lei ho avuto tre figli: questa ragazza di nome Mandodari, Mayavi e Dundubhi. Un giorno lei volle tornare nei pianeti superiori e mi abbandonò. Io l'amavo molto, e senza di lei non sono felice. Per questo sono triste. Inoltre ho un altro problema: mia figlia è in età da marito e non riesco a trovarne uno adatto. Vuoi prenderla tu come moglie?”
“Mandodari era una ragazza stupenda e Ravana accettò. In pochi giorni il matrimonio fu celebrato. In quel giorno Maya Danava gli regalò una lancia speciale, infallibile, con la quale in battaglia avrebbe potuto uccidere chiunque. Poi Ravana fece sposare Kumbhakarna con Vajrajvala, nipote di Bali che a sua volta era nipote di Prahlada. Infine Vibhisana sposò Sarama, figlia del Gandharva Sailusha.
“E arrivò il primo figlio. Mandodari ebbe un maschio che chiamò Meghanada. Questo bambino in futuro sarebbe stato soprannominato Indrajit. Invece di piangere come tutti gli altri bambini, al momento della nascita egli ruggì come un leone, rivelando la sua straordinaria natura guerriera.
104 La guerra contro Kuvera - Ravana si sottomette a Shiva“Passò molto tempo. Un giorno, per effetto della benedizione di Brahma, Kumbhakarna fu preso da un sonno irresistibile e chiese al fratello di far costruire un palazzo dove avrebbe potuto dormire senza essere disturbato. Dopo che il palazzo fu ultimato, Kumbhakarna vi entrò e dormì per molti anni. “In quel periodo Ravana viaggiò e combatté contro chiunque gli capitasse a tiro. Ovunque andava la scena era la stessa: morte, saccheggiamenti, desolazione, dolore. Essendo venuto a sapere di tutti questi misfatti, Kuvera intervenne e gli mandò un messaggio, invitandolo a non comportarsi più in quella maniera. Ravana si arrabbiò per l'impudenza del fratello, uccise il messaggero e marciò contro Kuvera stesso. La battaglia fu terribile: alla fine Ravana vinse e si impossessò del meraviglioso carro Pushpaka.
“Con quel prestigioso trofeo di vittoria, continuò a viaggiare; e visitò il luogo dove era nato Kartikeya.”
“Un giorno i Rakshasa arrivarono alla collina Kailasa: lì inspiegabilmente il carro Pushpaka si fermò e non fu possibile farlo ripartire. Ravana scese e cercò di capirne le ragioni. D'un tratto vide davanti a sé Nandi, l'assistente principale di Shiva, che aveva preso le fattezze di una scimmia. Capì che Pushpaka non voleva ripartire per rispetto al più grande dei Deva.
“Nandi guardò con severità il Rakshasa e disse:
“In questa collina vive il Signore Shiva in compagnia di sua moglie Parvati. Nessuno può passare di qui. Scegli un'altra strada. Neanche tu puoi trasgredire questa legge.”
“Mentre Nandi parlava, Ravana scoppiò a ridere, trovando buffa la sua faccia di scimmia.
“Tu hai riso nel vedere la mia faccia di scimmia,” riprese Nandi, “e mi hai così schernito. A causa di quest’offesa, sappi che la distruzione del tuo popolo avverrà per mano di una razza di scimmie.”
“Incurante della maledizione, Ravana, considerandosi superiore a Shiva stesso, di colpo sollevò la collina Kailasa. Tutti tremarono dallo spavento e dovettero reggersi per non cadere. Persino Parvati dovette aggrapparsi al collo del Signore per non cadere.
“Chiunque sia stato a causare questo disturbo,” sentenziò adirata la dea, “lo maledico a essere distrutto da una donna.”
“Shiva non sembrava disturbato dall'incidente; solenne e assorto in meditazione, non si mosse e non disse nulla. Ma pose il suo alluce sinistro sul terreno. A causa di quell'alluce la pressione fu così forte e repentina che Ravana non riuscì più a sostenere il peso e la collina ricadde giù con fragore, imprigionando le sue braccia. E nonostante esercitasse tutta la sua forza non riuscì a liberarsi. Allora Ravana gridò con grande furia e quel grido riecheggiò per tutto l'universo, terrorizzando le entità viventi.
“Quando vide che i suoi tentativi erano inutili, capì chi fosse Shiva e cercò di propiziarselo, recitando molte preghiere in sua lode. Ravana rimase in quella dolorosa posizione per migliaia di anni. Ma alla fine Shiva lo perdonò e lo liberò.
“Il tuo grido ha spaventato tutti i popoli dell'universo,” gli disse. “Per questo da oggi sarai conosciuto col nome di Ravana e ti regalerò anche la mia spada personale, Candrahasa.”

105 L'offesa a Vedavati“Anche dopo quell’esperienza il Rakshasa non cambiò la sua mentalità crudele. Appena fu libero riprese a viaggiare e a compiere le stesse malefatte di sempre. Un giorno passava per una delle vette himalayane, quando vide una bellissima donna che stava compiendo delle austerità. Ne fu così attratto che non si preoccupò di pensare che lei fosse un'asceta e che quindi dovesse essere rispettata, ma decise di farla sua.
“Chi sei, e cosa fai in luoghi così inospitali per una ragazza così giovane e bella come te?” le disse.
“Mio padre si chiamava Kushadvaja,” rispose lei, “ed era figlio di Brihaspati. Io sono nata come un'incarnazione dei Veda e per questo il mio nome è Vedavati. Mio padre non voleva darmi in sposa a nessun altro all'infuori di Vishnu e per anni ha tentato di ottenere il suo favore. Un giorno Sambu, il re dei Daitya, mi chiese in sposa e mio padre rifiutò. Per vendetta lui lo uccise. Ora sono orfana e sto compiendo queste ascesi al medesimo scopo, quello di ottenere Narayana come marito.”
“Ravana discese dal carro. Un orgoglio smisurato riempiva il suo cuore: non si riteneva inferiore a nessuno.
“Oh bellissima ragazza, sappi che io sono Ravana, il potente re dei Rakshasa. Non c’è essere superiore a me in tutto l'universo. Diventa mia moglie; io sono superiore a Vishnu.”
“Così dicendo l’afferrò per i capelli e la tirò a sé. Vedendosi oltraggiata da quell'essere vile, Vedavati s'infuriò e trasformò la propria mano in una spada. Con un colpo netto tagliò i capelli che Ravana teneva nella mano e si separò da quella presenza così contaminante.
“Tu mi hai preso per i capelli,” disse lei, per nulla pacificata, “e quindi mi ritengo contaminata per tutta la vita. In questo stato io non potrò ottenere i favori di Vishnu. A cosa serve allora questo mio corpo? Perciò lo abbandonerò.”
“Vedavati accese un fuoco. Poi si volse verso il Rakshasa.
“Io rinascerò ancora e la missione della mia vita sarà di distruggerti. E non nascerò dal ventre di una donna come una qualsiasi bambina.”

106 Vedavati rinasce come Sita“Vedavati rinacque su un fiore di loto. Non sospettando chi fosse quella bellissima bambina, Ravana stesso la prese e la portò a Lanka. Ma i suoi astrologi gli predissero che quella bambina sarebbe stata la causa della sua distruzione. Allora Ravana la fece gettare nell'oceano. Sospinta dalle onde la bambina giunse a riva.
“A quel tempo il re Janaka stava facendo preparare l'arena sacrificale per il suo Asvamedha-yajna e mentre faceva arare il terreno vide la neonata in uno dei solchi. Stupito, la prese con sé e la adottò. Poiché era stata trovata in un solco fu chiamata Sita.

107 Altri episodi“Ravana continuava a perpetrare le sue malvagità. Un giorno capitò nella radura di una foresta dove il potente re Marutta stava svolgendo un sacrificio, al quale partecipavano anche Yama, Indra, Varuna e Kuvera. Appena i quattro Deva lo videro avvicinarsi, si nascosero nei corpi di alcuni animali. L'arrogante Rakshasa entrò nell'arena e cominciò a cantare le proprie glorie. Marutta voleva dargli una lezione ma non poté, essendo nel pieno svolgimento del sacrificio. Quando Ravana fu ripartito, i Deva uscirono dai loro nascondigli. Indra, che si era nascosto nel corpo di un pavone, conferì a tutti i pavoni il privilegio di aver dipinti sulla coda tanti occhi. E Yama benedisse i corvi, Varuna i cigni e Kuvera i camaleonti.
“Dopo aver riportato vittorie su tutti i re della terra, Ravana arrivò ad Ayodhya, e lì sfidò il re Anaranya, che sconfisse e ferì a morte. Prima di morire, il re pronunciò una maledizione:
“Nella mia dinastia nascerà un re chiamato Dasaratha. Suo figlio Rama ti ucciderà.”

108 La guerra contro i Deva“Un giorno Narada Muni, vedendo che il Rakshasa stava mietendo troppe vittime tra gli esseri umani, pensò di dirigerlo verso un combattimento con i Deva.
“Oh grande Rakshasa,” gli suggerì il saggio, “perché perdi il tuo tempo combattendo contro questi uomini che non possono neanche lontanamente competere con te? Dichiara guerra ai Deva. Il tuo gusto per il combattimento sarà così soddisfatto.”
“Ravana si diresse con tutto il suo esercito contro Yamaraja, il figlio di Vivasvan, ma fu sconfitto. Nel momento in cui Yama stava per ucciderlo, Brahma lo fermò e glielo impedì, ricordandogli che Ravana non avrebbe dovuto morire per mano di alcun Deva. Per rispetto a Brahma, Yamaraja si ritirò dal combattimento.
“Scampato al pericolo, per nulla intimidito dall'esperienza della sconfitta, Ravana combatté contro i Naga e li sconfisse. Fece amicizia con i Nivata-kavacha e si scontrò con i Kalakeya, uccidendo per sbaglio il marito di sua sorella Surpanakha. Poi Ravana incontrò Surabhi e le offrì rispettosi omaggi.
“Poi marciò contro Varuna. Dopo aver sconfitto i suoi figli, Ravana apprese che il Deva delle acque non era presente nella sua capitale.
“Durante le sue scorribande, il terribile Rakshasa rapì molte donne. E tutte lo maledissero a perdere la vita a causa di una donna.
“In quella campagna militare passarono anni. Poi Ravana tornò a Lanka. Lì lo aspettava la sorella Surpanakha, profondamente addolorata per la perdita del marito. Il fratello la consolò e la affidò alle cure di Khara, che risiedeva a Dandaka con quattordicimila potenti Rakshasa. Contento di aver sistemato anche questo problema, Ravana entrò nella foresta Nikumbhila con i suoi collaboratori più intimi. Lì trovò suo figlio Meghanada che stava svolgendo un sacrificio in compagnia di alcuni asceti.
“Figlio mio,” disse, sorpreso di trovarlo lì. “Cosa stai facendo? Perché stai svolgendo quel sacrificio? Per chi è quell'offerta?”
“Meghanada non rispose.
“Tuo figlio ha fatto il voto del silenzio,” gli rispose il saggio Ushana, “non può risponderti. Questo è un importante e complicato sacrificio che ha lo scopo di propiziare Indra e di ottenere le sue armi. Con quelle tuo figlio diventerà invincibile.”
“Ravana divenne rosso di rabbia.
“Sacrifici ai Deva?” gridò. “A che serve fare sacrifici a chi è più debole? Cosa possiamo ottenere? Noi siamo più forti dei Deva. Mio figlio non ha bisogno di queste cose per diventare invincibile. Noi siamo già più forti di tutti.”
“Così dicendo prese Meghanada e lo portò via con sé, senza lasciargli terminare quel sacrificio. Solo per questa ragione voi avete potuto sconfiggerlo.
“Lo stesso giorno Ravana seppe che un Rakshasa di nome Madhu aveva rapito sua cugina Kumbhinasi. Deciso a vendicare l'onore della famiglia, inseguì Madhu. Dopo averlo raggiunto stava per ucciderlo, ma Kumbhinasi intercedette a suo favore e Ravana lo perdonò. Unirono i loro eserciti e decisero di andare a sfidare Indra. Quella notte l'enorme esercito si accampò a Kailasa. Agitato, il re dei Rakshasa non riusciva a dormire e passeggiò per la foresta. E vide una stupenda Apsara, Rambha, e non riuscì a controllare il desiderio sessuale. La chiamò.
“O bellissima fanciulla, dove stai andando a quest'ora di notte? Chi sei? La tua bellezza ha risvegliato in me il desiderio sessuale.”
“Mi chiamo Rambha,” rispose la fanciulla, “e sono un'Apsara. Sto andando da Nalakuvera, tuo nipote, il figlio di Kuvera. Come sai, le Apsara non hanno marito e quindi non avrei difficoltà a soddisfare i tuoi desideri, ma sono stata chiamata da Nalakuvera e in questo momento sono considerata sua moglie. Quindi ora non posso soddisfarti.”
“Ravana guardò ancora quella stupenda fanciulla, che sembrava la bellezza personificata. Era di una dolcezza indicibile: non poteva rinunciare a lei. Insistentemente le chiese di giacere con lui, ma lei rifiutò, impaurita dalla prospettiva della maledizione del saggio.
“No,” lo pregò Rambha, “il padre di colui che ora considero mio marito è tuo fratello, perciò tu sei come un padre per me. Non posso giacere con mio padre. E non è propizio neanche per te.”
“Ma a nulla valsero le parole e le preghiere di Rambha: Ravana non riusciva a controllare il desiderio e la prese con la forza. Quando ebbe soddisfatto i suoi sensi, Ravana la lasciò andare. Spaventata, lei corse da Nalakuvera e gli raccontò tutto. Il saggio perse la calma e pronunciò una maledizione:
“Se Ravana prenderà ancora una donna non consenziente, le sue teste si spezzeranno in sette parti.”
“Venuto a conoscenza della maledizione, da quel giorno Ravana non tentò più di violentare nessuna donna. Solo per questo egli non tentò mai di prendere Sita con la forza.
“Dopo molto tempo giunsero ad Amaravati, la città di Indra e la capitale dei pianeti celesti. Quando i Deva videro arrivare lo sterminato esercito, corsero a chiedere aiuto a Vishnu.
“Non temete,” rispose il Signore, “quando sarà arrivato il mo-mento io distruggerò Ravana e tutta la sua stirpe di malvagi Rakshasa.”
“La battaglia si accese. Sumali venne ucciso dall'ottavo Vasu, e il figlio di Indra venne sconfitto da Meghanada. Durò molti giorni. I Rakshasa erano potentissimi. Alla fine, dopo una feroce battaglia, anche Indra fu sconfitto e fatto prigioniero da Meghanada: in quel frangente si avverò la maledizione di Gautama Muni. Vedendo la situazione critica, Brahma intervenne personalmente e Meghanada rilasciò Indra. Così Brahma pensò di ricompensare il figlio di Ravana per la sua obbedienza.
“Oggi tu hai conquistato Indra, e per questo sarai conosciuto come Indrajit. Chiedimi una benedizione: cosa desideri da me?”
“Voglio essere immune dalla morte fintanto che sono sul mio carro di guerra e fintanto che riesco a completare le mie preghiere giornaliere,” chiese Indrajit dopo aver riflettuto.
“Brahma glielo concesse. Come ricordi, Lakshmana colpì Indrajit quando egli non era sul carro e in un giorno in cui non poté completare i suoi riti.”

109 Le sconfitte di RavanaRama ascoltava il racconto con grande attenzione e interesse. Poi gli venne in mente una domanda.
“Ho ascoltato questo racconto e sono sorpreso dal fatto che quasi nessuno fu mai in grado di sopraffare Ravana. E’ mai possibile,” chiese, “che a quel tempo non esistessero re valorosi che potessero sconfiggerlo? Se ce ne fu qualcuno mi piacerebbe ascoltare le sue gesta.”
Agastya riprese il racconto.
“Il re degli Haihaya si chiamava Kartavirya Arjuna ed era famoso per la sua forza fisica. Ravana aveva sentito parlare di questo re e, desideroso come sempre di combattere, si recò a Mahismati, la sua capitale. Appena arrivò chiese di incontrare il reggente. Gli ufficiali di palazzo lo informarono che era assente ma che poteva trovarlo al fiume Narmada. Ansioso di sfidarlo, Ravana si diresse velocemente verso il fiume Narmada e lo fece cercare. Nel frattempo si accampò e raccolse dei fiori per iniziare un sacrificio propiziatorio a Shiva.
“Più a valle, Kartavirya Arjuna stava facendo il bagno in compagnia delle sue donne. Per gioco volle mostrare ad alcune di loro la forza delle sue mille braccia, che aveva ottenuto grazie a una benedizione di Shiva. Si immerse nell'acqua e fermò il corso del fiume, che a monte straripò in più punti. Il fiume uscì dagli argini anche in prossimità dell'accampamento di Ravana e spazzò via i fiori dell'offerta. Stupito da ciò che era accaduto, Ravana mandò i suoi consiglieri a scoprirne le cause. I due fratelli Shuka e Sharana videro il re degli Haihaya e compresero ciò che era successo. Ravana corse a sfidarlo e fu sconfitto. Fatto prigioniero, fu portato a Mahismati e Arjuna lo fece rinchiudere in una prigione inaccessibile. Pulastya venne a conoscenza dell'accaduto e volle intercedere a favore del nipote. Così Ravana fu liberato e ripartì subito.
“Per nulla umiliato o scoraggiato da quell'esperienza, Ravana continuò a perpetrare le più basse nefandezze. Ma il destino gli riservava un'altra amara esperienza.
“Un giorno arrivò a Kiskindha, la capitale dei Vanara, e sentì parlare di Vali e della sua forza. Desideroso di combattere anche contro di lui, chiese dove fosse. Ma anche Vali in quel momento era assente e Ravana si informò dove potesse trovarlo. Avuta l'informazione, corse sul posto. Vali era sulle rive dell'oceano, assorto nelle sue meditazioni giornaliere. Ma anche in quella posizione si accorse dell'arrivo di Ravana, che si avvicinava minacciosamente. Appena gli fu sufficientemente vicino, Vali lo strinse saldamente sotto le ascelle e spiccò un prodigioso salto in cielo. Nonostante la sua straordinaria forza, Ravana non poteva neanche muoversi, imprigionato da quella stretta ferrea. Pienamente tranquillo, come se con sé non avesse nulla, Vali visitò tutti i tre mari. Ravana capì che Vali era straordinariamente potente e fece amicizia con lui.”

110 La storia della vita di HanumanTerminato il racconto delle gesta di Ravana, Rama pensò di porre altre domande, stavolta su Hanuman.
“Da ciò che ho capito, Ravana era molto potente, ma Hanuman gli era superiore. Perché quando Vali cacciò via Sugriva, Hanuman non si ribellò e non cercò di proteggere il suo caro amico?”
Il saggio Agastya raccontò:
“Una volta viveva un Rishi di nome Keshari e sua moglie si chiamava Anjana. Una volta lei era nella foresta a raccogliere della frutta e dei fiori, quando il Deva del vento la notò. Vedendola così bella e pura, Vayu se ne invaghì e penetrò in essa. Come risultato un figlio fu generato nel suo ventre, Hanuman.
“Fin dai primi giorni della sua vita era chiaro che il bimbo aveva caratteristiche speciali. Era ancora neonato quando un giorno sua madre lo mise in terra per sbrigare delle faccende. Ma il bimbo aveva fame e pianse disperatamente. La madre, troppo lontana, non lo sentì. Era l'alba, il sole stava sorgendo ed egli pensò che quello fosse un frutto dorato. Era così bello e colorato che pensò che dovesse anche essere molto buono. Decise di andarlo a prendere e di mangiarlo. Così spiccò un gran salto e si diresse verso il sole. Era un giorno di eclisse e Rahu si apprestava ad ingoiare l'astro lucente, quando vide Hanuman avvicinarsi a grande velocità. Spaventato da quell'inattesa presenza, Rahu corse a chiedere aiuto a Indra e gli riferì cosa stava accadendo. Il re dei Deva pensò che fosse cosa saggia andare a vedere personalmente e, accompagnato da Rahu, si recò sul posto. Nel frattempo Hanuman si era avvicinato di molto al Sole e si apprestava ad inghiottirlo. Vivasvan, che predomina l’astro lucente, lo guardò e non lo bruciò: sapeva che Hanuman sarebbe stato necessario all'incarnazione di Vishnu che avrebbe eliminato Ravana. Ma Rahu, senza attendere Indra, vedendo Hanuman che si era avvicinato troppo, impulsivamente lo attaccò. Il neonato scambiò anche Rahu per un frutto e si precipitò verso di lui, a bocca spalancata. Gridando ‘Aiuto Indra!’ Rahu fuggì terrorizzato. E il re dei pianeti celesti scagliò contro Hanuman la sua arma prediletta, il fulmine. Colpito duramente alla mascella, il piccolo cadde su una montagna. E Vayu vide che suo figlio era stato colpito e corse sul posto. Lo trovò morto. Piangendo addolorato, prese il corpo in braccio e andò via. Si ritirò in una caverna e non fece più circolare l'aria in tutto l'universo.
“Ci fu un periodo di grande difficoltà, e tutti soffrivano e rischiavano di morire. I Deva andarono da Brahma per chiedergli aiuto e così Brahma, accompagnato da tutti gli altri, andò a cercare Vayu. Quando lo trovarono furono messi al corrente delle ragioni del suo dolore.
“O re, conosciamo il motivo che ti rende così triste,” disse Brahma. “Tuo figlio è stato ucciso ingiustamente. Io lo farò tornare in vita. Il suo nome sarà Hanuman, perché la sua mascella è stata rotta dal fulmine di Indra. Non essere più addolorato, ora, e riprendi a soffiare in tutti i mondi.”
“Il piccolo si risvegliò come dopo un sonno. Fu benedetto ad essere praticamente immune da ogni pericolo, persino dalle maledizioni dei saggi.
“Hanuman divenne estremamente potente. Quando fu cresciuto, la consapevolezza dei suoi poteri lo rese arrogante e dispettoso, e prese l'abitudine di scherzare e di prendersi gioco dei saggi della foresta, disturbandoli nei loro sacrifici. Un giorno i venerabili asceti unirono la loro energia per fargli dimenticare la grandezza dei suoi poteri: li avrebbe potuti ricordare solo quando ne avrebbe avuto bisogno. In preda a una profonda amnesia, Hanuman cominciò a comportarsi come un Vanara qualsiasi, inconsapevole della sua potenza. Per questo non difese Sugriva nella sua disputa contro Vali: credeva di non poterlo fronteggiare.”

111 La partenza dei saggi - Sita in attesa di un figlioDopo qualche giorno i saggi vollero ripartire. Rama, a cui piaceva sentirli parlare, si dispiacque molto.
“Fra poco celebrerò il sacrificio Rajasuya,” li informò. “Spero che parteciperete anche voi.”
I saggi risposero affermativamente e partirono.
Dopo la partenza dei Rishi, Rama congedò tutti gli amici che avevano voluto venire ad ascoltare quelle affascinanti storie, e anche loro partirono. I Vanara e i Rakshasa tornarono nei loro rispettivi regni. Prima della partenza, Bharata descrisse le glorie del governo di Rama osservante delle leggi divine.
Un giorno Rama vide il carro Pushpaka tornare verso di lui.
“Dopo aver sconfitto Ravana,” disse il carro fatato, “tu mi hai mandato dal mio padrone, Kuvera, ma lui ha detto:
“O Pushpaka, Rama ti ha conquistato sconfiggendo il re dei Rakshasa. Sei di sua proprietà, ora. Servilo con fedeltà.”
“Io vorrei restare qui con te.”
Rama lo accettò con gioia.
I giorni tristi sembravano passati. Tutto era gaiezza, gioia, anche la natura sembrava partecipare alla loro felicità. Un giorno in cui Rama era nei suoi meravigliosi giardini in compagnia di Sita, la vide particolarmente felice e distesa. Aveva una bella notizia da dare al marito.
“Mia cara,” la anticipò lui, “io vedo nel tuo corpo chiari segni. Tu stai aspettando un figlio, non è vero?”
“Sì, è vero. E ne sono immensamente felice. Avremo dei figli: non è meraviglioso?”
Rama sentì una gioia immensa nel cuore.
“Oh, Sita, non immagini quanto questo mi faccia felice. In questo giorno fortunato io vorrei donarti qualcosa. Cosa vorresti?”
“Sento un po’ di nostalgia di quegli eremi silenziosi e meditativi. Mi piacerebbe molto tornare a visitarli,” rispose lei con un sorriso.
“Ciò che vuoi. Puoi partire domani stesso. Lakshmana e alcuni brahmana ti accompagneranno.”
112 La drammatica decisioneMa non era tutto finito. I giorni tenebrosi sembravano stessero ripresentandosi. Rama aveva sentito varie voci, di critiche, sul suo conto. A causa di quelle, convocò una riunione con i suoi ministri. Fra le altre cose parlarono dell'immagine che un re deve avere di fronte al popolo. “E’ di grande importanza,” disse Rama, “che il re non abbia macchie nel proprio carattere e nella propria vita privata, nel presente come nel passato. Cosa dice di me la gente? Mi amano e mi apprezzano ancora? Sono tutti felici sotto il mio regno? O vedono difetti in me? Vorrei sapere se mi criticano per qualche ragione.”
Bhadra, uno dei ministri più fidati, aveva fatto un sondaggio in incognito per conoscere l'umore della gente.
“I cittadini ti amano, ti rispettano, e sono felici sotto il tuo regno. Ma qualcuno ha visto in te una macchia: che nonostante tua moglie Sita sia stata nella casa di un altro per lungo tempo, e che quindi la sua castità possa essere messa in dubbio, tu l'hai ripresa con te. Qualcuno dice che questo tuo comportamento potrebbe giustificare o almeno non scoraggiare l'infedeltà delle loro mogli. In altre parole pensano che il tuo comportamento in questo caso non sia stato esemplare. Questo è ciò che dicono.”
A queste parole Rama si incupì. Per tutto il giorno fu triste e pensieroso. Poi mandò a chiamare i suoi fratelli.
“Voi sapete cosa dice la gente di me. Parlano di questa macchia nel mio carattere esemplare, di questo mio passato nel quale ho ripreso mia moglie dopo che lei era stata per molti mesi nella casa di Ravana. Io sono il re e devo essere di esempio per tutti, al di sopra di ogni sospetto e di ogni critica. Dicono che sono troppo affezionato a lei e che un re troppo attaccato non può dare benefici duraturi ai suoi sudditi. Io non posso permettere che queste critiche facciano presa nel popolo. Ho deciso, quindi, di esiliare Sita.
“Lakshmana, domani accompagnala all'eremo di Valmiki. Lì sarà felice e al sicuro.”
Dette queste parole, Rama corse nei suoi appartamenti e pianse.

113 L'esilio di SitaQuando il giorno tornò e il sole cominciò a inondare la terra di Koshala con i suoi caldi raggi Lakshmana, col cuore indicibilmente addolorato, invitò Sita a prendere posto sul carro per andare a visitare l'eremo di Valmiki Muni. Sita salì sul carro e partirono. Nell'aria c'era qualcosa di strano, Sita non si sentiva felice e vedeva cattivi presagi tutt'intorno a sé. Ma Lakshmana la rassicurò che tutto andava bene, che non c'era alcun problema e lei, pur senza riuscirci, cercò di calmarsi. Presto arrivarono al Gange e lo attraversarono. Attraversato il fiume, Lakshmana diede a Sita la terribile notizia. Dopo che Lakshmana le aveva spiegato tutta la situazione, Sita si disperò e pianse a dirotto.
Giunsero in quello stato d’animo all'eremo e Lakshmana la affidò a Valmiki. Poi ripartì. Una tristezza infinita era nel suo cuore. Sapeva che il fratello avrebbe sofferto tanto quanto Sita. Il saggio fu d'accordo di offrirle protezione e la fece accompagnare nell'ashrama delle donne eremite.

114 La storia di Brighu e VishnuQuando fu dall'altra parte del fiume, Lakshmana si fermò a guardare l'eremo e vide Sita entrare nell'ashrama delle donne. Il fido Sumantra era con lui.
“Sumantra,” disse Lakshmana, “guarda: Sita è entrata nell'ashrama. Non è strano questo suo destino? Lei è la donna più casta e santa che ci sia, eppure è stata esiliata dal marito. Il destino è stato crudele con lei. Cosa avrà fatto per meritarsi tanto dolore?”
“Non ti affliggere,” replicò Sumantra, “perché a tutto c'è una spiegazione e un motivo di essere. In realtà era stato previsto: io sapevo che sarebbe successo.”
Lakshmana lo guardò con sorpresa e lo interrogò con gli occhi.
“Ora ti racconterò una storia che solo io e tuo padre conoscevamo,” riprese Sumantra.
“Un giorno accompagnai il re Dasaratha a trovare il saggio Vasishtha. Era il periodo di chaturmasya e lo volle trascorrere con Vasishtha. Lì c'era anche il grande Durvasa, con il quale passammo i quattro mesi. Dasaratha gli chiese:
“Che futuro avranno i miei figli? Saranno felici o dovranno soffrire?”
“Durvasa rispose:
“Ho una storia da raccontarti. Ascoltala con attenzione. Un tempo ci fu una grande battaglia fra Deva e Asura, e questi ultimi furono sconfitti. Non sapendo a chi altri rivolgersi, chiesero protezione alla moglie di Brighu, che li fece nascondere. Ma Vishnu vide l'atto della donna e le lanciò il disco Sudarshana, decapitandola.
“Quando Brighu venne a conoscenza del fatto e di come era accaduta, non riuscì a controllare la rabbia e maledisse Vishnu in questi termini:
“Un giorno anche tu sperimenterai il dolore della separazione dalla tua amata.”
“Caro Dasaratha, Rama è Vishnu incarnato e in questa incarnazio-ne subirà la potenza della maledizione di Brighu. Quando Rama avrà terminato la propria missione sulla Terra si riunirà a Sita, che è Lakshmi incarnata, la sua compagna eterna.”
“Fedele Lakshmana,” concluse Sumantra, “queste furono le cose che Durvasa disse a tuo padre. Non ti addolorare. Tutto ciò è un piano divino preciso. Torniamo ad Ayodhya, ora.”
Lakshmana sentì il dolore alleviato dal racconto di Sumantra. I due tornarono ad Ayodhya.

115 La storia di NimiRama passava molto tempo in compagnia di Lakshmana, l'unico che potesse alleviargli il dolore della separazione da Sita. Un giorno Rama raccontò la vecchia storia del re Nriga e dei brahmana che lo maledissero a vivere nel corpo di una lucertola per molti millenni.
Terminato il racconto, Lakshmana chiese di ascoltare qualche altra storia. Rama narrò quella del re Nimi.
“Nimi visse molti anni fa ed era il dodicesimo figlio di Ikshvaku. Un giorno decise di celebrare un grande sacrificio e considerò chi potesse essere un brahmana qualificato a dirigerlo. Pensò al famoso saggio Vasishtha, e andò a chiedergli l’approvazione.
“O re, dovresti attendere qualche mese,” rispose Vasishtha. “Ora sto presiedendo il sacrificio di Indra e non posso venire da te. Ma sarei molto felice di dirigere il tuo sacrificio. Attendi un poco.”
“Nimi dapprima assentì, poi ci ripensò. Non gli piaceva l'idea di aspettare. Perciò andò dal saggio Gautama e gli disse di dirigere lui il suo sacrificio. Gautama accettò di buon grado e i preparativi iniziarono. Poi cominciò il sacrificio stesso. Vasishtha venne a sapere che Nimi non lo aveva aspettato e si adirò, pensando che il re gli avesse mancato di rispetto. Furibondo, si precipitò nel luogo dove il sacrificio era in corso e appena vide il re gli gridò:
“Tu morirai presto!”
“Vistosi maledetto, Nimi maledisse Vasishtha allo stesso modo. Il saggio rimase stupito: non si aspettava la reazione del re. Considerando che nessuno dei due era riuscito a controllare la rabbia, Vasishtha si considerò colpevole e andò da Brahma.
“Venerabile Signore,” disse Vasishtha, “Nimi mi ha maledetto a morire. Oltre a essere un grande re, egli ha acquisito anche poteri ascetici e quindi la sua maledizione avrà sicuramente effetto. Ma vorrei chiederti: dopo la mia morte come posso assumere un altro corpo adatto al continuamento delle mie ascesi?”
“Caro Vasishtha,” rispose Brahma, “puoi entrare nell'energia seminale di Mitra e di Varuna.”
“A questo punto devi sapere che a quel tempo Mitra e Varuna erano molto amici e vivevano insieme. Un giorno la bellissima Urvashi andò a trovarli. Colpito da tanto splendore, Varuna le chiese il suo amore.
“Io vorrei venire da te,” rispose la fanciulla che provava per Varuna un sentimento d'amore, “ma Mitra ha chiesto la mia compagnia prima di te e non posso, dopo aver accettato, rifiutarmi.”
“Quando ti ho vista,” replicò il deluso Varuna, “ho sentito un impulso sessuale così forte che ho perso il seme. Lo porrò in un'ampolla divina e ti aspetterò.”
“O Varuna,” disse lei, “il mio corpo appartiene a Mitra, ora, ma il mio cuore è tuo.”
E Urvashi andò da Mitra. Ma presto venne a sapere del sentimento tra i due e si sentì offeso. La maledisse a cadere sulla Terra e a rimanerci per un certo tempo. Sulla Terra Urvashi sposò Pururava, il figlio di Budha. Da Pururava nacque Ayu e da Ayu Nahusha, che sostituì Indra nei pianeti celesti quando questi fu stanco dopo la battaglia contro Vritra.
“Ma quando aveva visto Urvashi per la prima volta anche Mitra aveva perso il seme e l'aveva messo nella stessa ampolla celeste. Dalla mistura nacquero due grandi saggi. Il primo fu Agastya, il secondo Vasishtha, che così riprese un corpo.
“Ti ho raccontato, quindi, cosa successe a Vasishtha dopo essere stato maledetto. Ora ti dirò cosa successe a Nimi. Poco tempo dopo Nimi morì, ma i saggi non interruppero il sacrificio che stavano conducendo. Quando fu terminato, Brighu richiamò il re dai mondi dove era andato e gli dette la capacità di parlare. Tutti erano soddisfatti di come il sacrificio era stato organizzato e vollero aiutarlo.
“Dicci cosa vorresti essere e dove vorresti vivere. Noi esaudiremo il tuo desiderio.”
“Voglio vivere nella forma di aria negli occhi di tutti gli esseri viventi,” chiese Nimi.
“A quei tempi gli occhi degli uomini non battevano continuamente come succede oggigiorno. Essendo stato esaudito dai saggi, Nimi si trasformò in aria e le palpebre degli occhi presero a battere continuamente.
“Ottenuto questo, Nimi scomparve. I saggi considerarono che il regno era rimasto senza un re e Nimi non aveva avuto figli. Quindi pensarono di crearne uno. Sfregando il corpo morto del re fecero nascere un bimbo che fu chiamato Mithi, ma ebbe anche altri nomi, come Janaka e Vaideha, che significa nato da un corpo morto. Costui fu il padre di Sita.”

116 La missione di SatrughnaDopo la storia di Nimi e Vasishtha, Rama raccontò anche la storia di Yayati. In questa maniera il tempo passava piacevolmente.
Un giorno il saggio Cyavana arrivò ad Ayodhya e venne ricevuto con tutti gli onori.
“Siamo molto onorati dalla tua visita,” disse Rama. “Una ragione precisa ti ha spinto a venirci a trovare? C'è qualcosa che possiamo fare per te? Siamo pronti a soddisfare qualsiasi tua richiesta.”
“C'è un motivo alla mia visita,” rispose Cyavana. “Un grosso problema assilla me e altri eremiti. Tu puoi aiutarci.”
Rama assentì, sorridendo, ben felice di poter fare qualcosa per gli uomini di virtù.
“Ti racconto una storia,” riprese Cyavana.
“In Satya-yuga viveva un Daitya virtuoso che si chiamava Madhu. Grande devoto di Shiva, lo soddisfò così tanto con la sua devozione che Shiva gli donò una lancia terribile, inarrestabile in battaglia. Nessuno poteva sopravvivere quando questa era scagliata. Madhu chiese a Shiva che anche i suoi discendenti potessero beneficiare di quell'arma, ma Shiva disse che ciò non era possibile. Ma concesse l'uso al figlio. Madhu generò il malvagio Lavana, che crebbe ben differente da suo padre. Il crudele Rakshasa ora sta terrorizzando tutto il mondo, specialmente gli eremiti delle foreste.
“Rama,” concluse Cyavana, “sollevaci da questo assillo. Uccidi Lavana.”
“Grande saggio,” rispose Rama, “è preciso dovere di ogni re proteggere i saggi e gli indifesi. Non preoccuparti più. Considera il malvagio Rakshasa già morto. Ma dove posso trovarlo?”
“Abitualmente vive a Madhuvana. Lo troverai sicuramente lì.”
Rama si rivolse a Satrughna e gli affidò la missione.
“Vai a distruggere il Rakshasa. Ma non combattere contro di lui mentre è in possesso della lancia. E dopo averlo ucciso fonda una città e governala.”
Satrughna partì per Madhuvana con un grande esercito.

117 La nascita dei figli di RamaDurante il tragitto si fermarono presso l'eremo di Valmiki per riposarsi. Satrughna fu intrattenuto dal saggio con la recitazione di meravigliose storie dai Purana. Proprio quella notte Sita partorì due gemelli, che furono chiamati Kusha e Lava. Satrughna ne fu molto felice.

118 Satrughna uccide Lavana e fonda MathuraLa mattina dopo Satrughna ripartì ed in pochi giorni arrivò a Madhuvana. Sorpreso in un momento in cui non aveva la lancia di Shiva con sé, il Rakshasa fu sconfitto e ucciso da Satrughna. Lì il fratello minore di Rama fondò una meravigliosa città che venne poi chiamata Mathura.

119 Satrughna ascolta il RamayanaPassarono dodici anni. Solidamente stabilita la città, Satrughna desiderò tornare ad Ayodhya a trovare i fratelli.
Durante il viaggio si fermò ancora presso l'eremo di Valmiki che lo ricevette con affetto. Dopo aver pranzato Valmiki disse:
“Ho composto un poema che si chiama Ramayana. E’ la storia di tuo fratello Rama e della sua vita. Vuoi ascoltarlo?”
Satrughna assentì con gioia. Accompagnandosi con strumenti musicali, i discepoli di Valmiki cantarono il Ramayana. La poesia e la musica erano così belle, così dolci, che Satrughna desiderò che la storia non finisse mai. E non c'erano manipolazioni o travisamenti: tutto era recitato esattamente come era successo nella realtà.
La notte Satrughna non poté dormire; quei suoni gli erano rimasti nella mente e non riusciva a dimenticarli. All'alba ripartì. Dopo pochi giorni arrivò ad Ayodhya.
Satrughna raccontò a Rama ciò che aveva fatto in quegli anni, dandogli la notizia della nascita dei suoi figli. Poi gli chiese il permesso di non tornare a Mathura, ma di restare con lui ad Ayodhya. Rama gli ricordò i doveri della casta dei guerrieri e gli concesse di rimanere solo un po’. A malincuore dopo sette giorni Satrughna ripartì.

120 Agastya racconta - La casta guerrieraNel regno di Rama la sofferenza era sconosciuta perché il re era ben attento a proteggere i cittadini dalle influenze della degradazione materialistica. Proprio per questo un giorno punì un shudra di nome Samvuka che si impegnava in attività non consone alla sua classe. Nel momento in cui Rama dette quella punizione, i Deva apparvero e gli chiesero di accompagnarli da Agastya che stava completando un sacrificio durato dodici anni.
Rama e i Deva andarono nell'eremo di Agastya che li ricevette con tutti gli onori. Agastya sapeva bene quanto gloriosamente Rama stesse governando il suo paese, e volle fargli dono di alcuni ornamenti per mostrargli apprezzamento.
“Ti ringrazio per questi bellissimi ornamenti che vuoi donarmi,” disse Rama, “ma tu sai che solo i brahmana possono accettare doni, e che gli kshatriya dovrebbero rifiutarli. Come posso accettare ciò che mi offri?”
“Ti spiegherò il motivo,” disse Agastya, “per cui tu dovresti accettarli. Ascolta questa storia. In Satya-yuga non esistevano re perché non ce n'era bisogno. Poi si presentò la necessità e il problema fu esposto a Brahma. Mentre ascoltava, Brahma starnutì e dal suo naso scaturì una persona. Costui fu chiamato Kshupa . Egli fu designato come primo re della terra, e ricevette lo spirito di Indra per il governo della terra, lo spirito di Varuna per il mantenimento del corpo, lo spirito di Kuvera per l'accumulo delle ricchezze e lo spirito di Yama per l'amministrazione del castigo. Nello spirito di Indra tu devi accettare questi doni.”
Rama li prese con sé e li osservò attentamente.
“Questi ornamenti hanno qualcosa di speciale. Chi te li ha dati? O dove li hai trovati?” chiese.
“Tempo fa,” raccontò Agastya, “entrai in una foresta dove non ero mai stato e volli visitarla. Lì praticai molte austerità. Una notte entrai in un eremo abbandonato e vi passai la notte. Quando il sole sorse, mi svegliai e mi accorsi che vicino a me c'era il corpo di un uomo morto, disteso. Ero stupito: la sera prima non c'era. Lo guardai e vidi che aveva delle fattezze corporee molto attraenti. Mentre cercavo di capire cosa potesse essere successo e chi avesse messo quel cadavere lì dentro, vidi un essere celeste che proveniva dal cielo, ed era accompagnato da altri bellissimi personaggi che cantavano e danzavano. E mentre guardavo quel glorioso essere, lo vidi che prendeva a mangiare il corpo che quella mattina avevo trovato vicino a me. Mi stupii. Tutto ciò che lo circondava era di una bellezza e di una gloria evidenti: mi sembrò strano che si cibasse di un cadavere.
“Perché mangi un cibo così abominevole?” gli chiesi. “Tu mi sembri una grande personalità; cosa ti induce a comportarti così?”
“Grande saggio,” rispose lui con una voce soave, ma triste. “Il mio nome è Sveta e come premio per le mie ascesi riuscii ad andare a Brahma-Loka. Ma quando vi arrivai sentii che avevo fame e ne fui stupito, giacché sapevo bene che in quel pianeta la fame non esisteva. Così andai a chiedere spiegazioni a Brahma stesso.
“Hai fatto austerità,” mi rispose lui, “ma non carità. Ed è questa la ragione per cui hai sentito i morsi della fame. Dovrai cibarti di carne umana per scontare questa mancanza. Un giorno incontrerai Agastya e dovrai fargli la carità. Questo ti permetterà di accedere definitivamente nel mio pianeta.”
“Accetta questi ornamenti celestiali dalle mie mani,” concluse Sveta, “e permettimi così di accedere al mondo di Brahma.”
“Io accettai quegli ornamenti, che sono gli stessi che ti ho regalato.”


121 La storia della foresta di DandakaAgastya raccontò un'altra storia.
“Molto tempo fa, durante Satya-yuga, viveva un re chiamato Manu, che aveva un figlio di nome Ikshvaku. Quando Manu si ritirò nella foresta, Ikshvaku, con i suoi cento figli, governò il regno. I suoi figli erano tutti buoni e virtuosi, tranne il più giovane che si chiamava Danda, una persona dal carattere empio e crudele. Il giovane fondò un regno e la sua capitale fu la stupenda Madhumantra. Il grande Shukra era il suo maestro e la sua guida spirituale.
“Un giorno Danda andò a trovare il guru nel suo eremo e lì vi trovò, sola, la sua stupenda figlia. Danda fu colpito da tanta bellezza e, nonostante le sue resistenze, la prese con la forza. Poi tornò in città. Venuto a conoscenza del vile atto, Shukra pronunciò una terribile maledizione:
“Un giorno Indra devasterà il regno di Danda e nessuno degli abitanti si salverà.”
“La maledizione si avverò e quel regno, una volta così florido, si trasformò in una terribile foresta piena di Rakshasa. Fu poi chiamata Dandakaranya, la foresta di Dandaka.”

122 Rama ascolta la sua storiaLa notte, in quella foresta idilliaca, trascorse piacevolmente. La mattina seguente Rama tornò ad Ayodhya.
Qualche tempo dopo il re pensò di celebrare il sacrificio Rajasuya, ma i brahmana di corte gli consigliarono invece l’Asvamedha. Dopo aver ascoltato differenti storie sulle glorie di quel sacrificio, Rama decise di seguire il loro consiglio. I preparativi vennero celermente avviati.
E fu durante quel sacrificio che Valmiki Muni arrivò con tutti i suoi discepoli. Durante la cerimonia chiamò i suoi cari studenti Kusha e Lava.
“Se Rama vi chiama,” disse loro a voce bassa, “recitategli tutto il Ramayana, cominciando dal Bala Kanda. Ma all'inizio non ditegli che siete suoi figli: ditegli solo che siete miei discepoli.”
A questo punto ci ritroviamo all'inizio della nostra narrazione, quando Rama chiese ai due giovani eremiti di narrargli la sua storia.
Per giorni e giorni Rama ascoltò quella storia meravigliosa, finché venne a sapere che i due cantori erano i suoi figli nati da Sita dopo l'esilio. Con le lacrime agli occhi, Rama li abbracciò amorevolmente e poi si rivolse a Valmiki.
“O grande e misericordioso saggio,” pregò, “se Sita è veramente rimasta casta e pura come dice il tuo poema, conducila qui e fa in modo che dia un'altra prova pubblica.”
Valmiki acconsentì e mandò a prendere Sita. Venne la sera.
“Domani rivedrò Sita,” pensava Rama.
Non riusciva a pensare ad altro. Non chiuse occhio per tutta la notte.
123 La scomparsa di SitaFinalmente il sole sorse e Rama entrò puntualmente nell'arena del sacrificio, ansioso di rivedere Sita. La più casta delle donne entrò e lanciò uno sguardo d'amore in direzione del marito. Valmiki si alzò.
“O Rama,” proclamò, “che le mie austerità vengano distrutte in questo preciso momento se Sita ha mai anche solo pensato ad un altro uomo in tutta la sua vita. Io posso testimoniare la sua purezza con certezza assoluta.”
“Io accetto come verità indubitabile ciò che mi dici,” replicò Rama a voce alta per farsi sentire da tutti, “solo perché lo dici tu. Ma la gente con poca fede potrebbe dubitare ancora. Lascia che sia lei stessa a darne la prova.”
Sita ripensò a tutta la sua vita e lacrime calde di dolore le scesero lungo le guance. Voleva vivere con il suo Rama, ma il disegno della loro incarnazione su questa terra prevedeva diversamente. Ora doveva dare la prova definitiva della sua purezza.
“Se è vero che non ho mai pensato neanche per un istante a nessun altro oltre che a te,” disse Sita con voce alta e rotta dall'emozione, “se è vero che sono pura e incontaminata da ogni desiderio di piacere materiale, se è vero che sono stata casta per tutta la mia esistenza, che la Dea della Terra, dalla quale provengo, venga in questo momento e mi riprenda con sé.”
In quel momento il cielo si rischiarò e i Deva apparvero per assistere alla prova di Sita. Subito dopo una lieve brezza profumata si levò e la terra tremò leggermente. All'improvviso vicino Sita si aprì una grossa fenditura e, seduta su uno splendido trono d'oro, apparve la dea Bhumi. Prendendola per mano invitò Sita a sedersi sullo stesso trono e, sorridendo a tutti, sprofondò nel crepaccio, che si richiuse subito dopo. E una pioggia di fiori celestiali piovve dall'alto dei pianeti paradisiaci. E voci diafane cantarono preghiere a Sita e alle sue illimitate qualità spirituali.
Vedendola scomparire sotto la terra, Rama capì che Sita se ne era andata per sempre e si appoggiò al trono per non cadere a terra svenuto. L’emozione era fortissima: Rama cominciò a piangere amaramente, con disperazione. Chiamò Sita a voce alta e, in preda a una furia incontrollabile, impugnò l’arco e minacciò la Dea della Terra di distruggere lei e tutto il suo pianeta se non gli avesse immediatamente restituito Sita. Ma una voce solenne lo fermò.
“Rama, non dimenticare che tu sei Vishnu stesso: presto ritroverai la tua compagna e vi riunirete. Il vostro amore è spirituale ed eterno, e non può mai essere interrotto. Sii paziente, dunque, non distruggere la Terra.”
Rama si calmò e passò la notte in compagnia dei suoi figli e di Valmiki. In pochi giorni il sacrificio Asvamedha fu completato.

124 Il ritorno di Rama a VaikunthaIl grande re Rama governò a lungo. Sua madre Kausalya fu la prima a morire. Poi Sumitra e Kaikeyi. Tutte e tre si riunirono a Dasaratha nei pianeti celesti.
Qualche tempo dopo i Deva mandarono un messaggio a Rama. Un giorno un asceta alto e solenne venne ad Ayodhya e chiese di poter parlare con lui. Avvertito dell'arrivo, il rispettoso re venne subito.
“Dimmi, sant'uomo, cosa vuoi da me? Cosa mi devi comunicare?” gli chiese.
“Ho un messaggio importante da comunicarti, ma non posso dartelo in pubblico. Il nostro incontro deve essere privato. E’ molto importante.”
“Certamente. Vieni con me. Andiamo in un posto dove nessuno ci interromperà.” replicò Rama.
Ma il saggio non sembrava soddisfatto.
“Non voglio essere disturbato da nessuno durante il nostro incontro. Prometti che se qualcuno dovesse entrare e interromperci per qualsiasi motivo sarà condannato a morte.”
Rama accettò la condizione e, accompagnato da Lakshmana, andarono in una stanza privata.
“Mettiti di fronte alla porta,” disse Rama a Lakshmana, “e non far entrare nessuno per nessun motivo.”
Entrarono nella stanza. Il messaggero disse di essere Kala, la personificazione del tempo eterno.
“O Rama,” disse Kala, “tu sei Vishnu incarnato. E’ tanto tempo che sei su questo pianeta e i Deva sono ansiosi di riaverti tra loro. Tutti ti pregano di ritornare nel tuo mondo. I compiti che ti eri prefissato sono stati assolti: Ravana è stato ucciso e anche tanti altri demoni. Hai insegnato agli uomini come si deve comportare un re e un uomo ideale, e hai dato tanta gioia ai tuoi fedeli devoti. Sita, l'incarnazione di Lakshmi, ti sta aspettando con ansia e così tanti altri. Ti preghiamo, torna al più presto.”
Mentre Rama parlava con Kala, arrivò ad Ayodhya Durvasa Muni, che chiese di parlare subito con Rama. Lakshmana intervenne e pregò il saggio di attendere qualche minuto, perché Rama era impegnato in un'importante discussione e aveva detto che nessuno avrebbe dovuto disturbarlo. Ma Durvasa non voleva attendere.
“Lakshmana, e tutti voi,” tuonò Durvasa, “ascoltatemi. Io voglio parlare subito con Rama, non intendo aspettare. Questo è un segno di mancanza di rispetto. Se non ci parlerò subito, maledirò tutta la vostra dinastia. Vi distruggerò definitivamente.”
Lakshmana cercò in tutte le maniere di pacificare il saggio, ma non ci riuscì. Doveva entrare nella stanza ed avvertire Rama dell'arrivo di Durvasa, anche se questo avrebbe causato la sua morte: chi ci avrebbe disturbato dovrà essere giustiziato - aveva chiesto Kala. Ma non poteva permettere la distruzione di tutta la sua dinastia. Allora entrò nella stanza. Rama spalancò gli occhi.
“Lakshmana,” gridò, “che hai fatto? Perché sei entrato?”
Lakshmana annunciò l'arrivo del saggio. Rama, che aveva terminato in quel momento, corse fuori a ricevere Durvasa. Poi corse da suo fratello minore, sconvolto.
“Signore,” gli disse Lakshmana per rincuorarlo, “non dispiacerti per me. utto questo è un preciso disegno divino, ineluttabile. Tu lo sai, presto ci ritroveremo nella nostra dimora eterna.”
Lakshmana si recò sulle rive del Sarayu e si sedette in posizione dello yoga. Poi sospese il respiro. E tutti videro Indra scendere per accompagnare il grande e virtuoso Lakshmana nei pianeti celesti.
Il dolore della perdita di Lakshmana fu insopportabile. Rama chiamò tutti i suoi familiari, ministri e saggi di corte per comunicare delle decisioni importanti.
“Ho deciso di lasciare il trono a Bharata e ritirarmi nella foresta,” fu il tremendo comunicato. “Il tempo che dovevo trascorrere su questa terra è oramai terminato e sento un grande desiderio di tornare nella mia dimora originale.”
Ma Bharata non sembrava felice dell'idea.
“Io non voglio né il regno, né le glorie, né le gioie di questo mondo,” disse Bharata. “Preferisco seguirti e prepararmi alla partenza da questo mondo illusorio.”
Rama allora nominò reggenti i suoi figli Kusha e Lava. E quando Satrughna venne a sapere della scomparsa di Lakshmana e della decisione degli altri fratelli di abbandonare la loro manifestazione terrena, nominò reggente suo figlio Suvahu e decise di seguirli. Presto la notizia corse fino a Kiskindha e anche Sugriva decise di seguire Rama, lasciando il regno nelle mani di Angada.
Ad Ayodhya continuarono ad arrivare fiumane di persone che volevano assistere alla scomparsa del grande re. Rama ordinò ad un addoloratissimo Hanuman di continuare a vivere finché il Ramayana sarebbe esistito, e a Jambavan e a Mainda di vivere fino all'era di Kali. A Vibhisana disse di continuare a vivere fino alla distruzione dell'universo.
Il mattino seguente Rama uscì dal suo palazzo e, seguito da una moltitudine di persone, si diresse verso il Sarayu. E in quel momento la voce di Brahma, che tutti udirono e che proveniva dai pianeti celesti, risuonò:
“Oh Signore Supremo! Oh eterno Vishnu! Torna tra di noi!”
Così Rama, seguito da Bharata, Satrughna e Sugriva, abbandonò questo pianeta, lasciando un grande vuoto nei cuori dei suoi devoti.
Nel corso del tempo Ayodhya diventò una città deserta e spopolata e restò in questa condizione per molto tempo finché il re Rishabha venne e la fece rifiorire.
Valmiki concluse la sua storia dicendo: “Chi legge anche un solo verso di questo poema è fortunato e la sua vita sarà felice.”

Yuda Khanda

YUDDHA KANDA 67 I Rakshasa a consiglioRama sembrava tornato a nuova vita. Quando ebbe ascoltato di nuovo tutta la storia dalle labbra di Hanuman, sentì che qualcosa era rinato nel suo cuore, come accade quando si ritrova una persona che è essenziale alla propria esistenza. Abbracciò il suo fedele devoto e lo ringraziò calorosamente. Tennero poi un consiglio militare e ascoltarono la descrizione delle forze difensive dei nemici. Rama e Sugriva dettero disposizioni per l'immediata partenza. Mentre si preparavano, i Vanara manifestavano la loro gioia e il loro ardore guerriero. Nel frattempo, a Lanka, Ravana era preoccupato. Aveva visto cosa era stato in grado di fare Hanuman, e da solo. Sebbene la sua potenza personale e quella del suo esercito desse ampie garanzie, in cuor suo si sentiva preoccupato. Qualcosa di tutta quella storia lo angosciava. Non era come le altre battaglie che aveva intrapreso. C'era qualcosa di diverso che sfuggiva al suo controllo e alla sua comprensione. Chiamò a consiglio tutti i generali e i principali ministri.
I Rakshasa lo videro preoccupato come mai lo avevano visto prima di battaglie che si erano prospettate ben più impegnative di quella. Secondo loro non si trattava, in fondo, che di due uomini e di un branco di scimmie. Cercarono di rincuorarlo.
“Non ti vediamo sereno e fiducioso come sempre prima di un confronto,” disse Prahasta. “Forse le minacce di quella scimmia ti hanno intimorito? Ma di cosa ti preoccupi? Non ne hai ragione alcuna. Hai dimenticato la tua potenza militare e la nostra? Come puoi preoccuparti di due uomini e di qualche scimmia quando hai sconfitto i più grandi Deva dell'universo? Nessuno può sconfiggere noi quando siamo uniti sul campo di battaglia, e se anche ciò accadesse nessuno può sconfiggere te quando, sul tuo carro Pushpaka, ti scagli tra le file degli eserciti nemici. Maestà, tranquillizzati, possiamo distruggere qualsiasi nemico. Se quella scimmia tornerà con i suoi compagni e con Rama e Lakshmana, daremo loro battaglia e li stermineremo.”
Prahasta e gli altri rassicurarono Ravana e gli infusero coraggio. Ma il virtuoso Vibhisana non era d'accordo su quelle scene di cieco fanatismo.
“Cosa state dicendo voi tutti? Ravana, non ascoltare consigli insensati. Non hai visto quanti cattivi presagi sorgono ogni momento intorno a te e a Lanka? Questi presagi annunciano la tua sconfitta. Hai già dimenticato quello che ha saputo fare a Lanka quella che loro chiamano una semplice scimmia? Cosa hanno potuto fare i tuoi valorosi generali per impedire quello scempio? E Rama e Lakshmana sarebbero due piccoli uomini? E il massacro di quattordicimila potenti guerrieri? Anche quello dimenticato?
“La maniera migliore per fronteggiare un pericolo non è quello di sminuirne l'entità, ma semmai il contrario. Io sono sicuro che da una battaglia del genere usciremmo sconfitti e le nostre donne piangerebbero i loro morti. Ci aspetterebbero giorni di lutti.
“Sii saggio, fratello: restituisci Sita a Rama e salva così la tua vita e quella di milioni di persone che ti sono fedeli.”
Un brusio di disapprovazione accompagnò le ultime parole di Vibhisana. Ravana non avrebbe voluto ascoltare quelle cose e l'entusiasmo che gli avevano suscitato gli incoraggiamenti dei suoi generali si spense. Si alzò di scatto e si ritirò nei suoi appartamenti privati. Passò una notte insonne.

68 Altri consigliIl giorno dopo, quando Ravana si ripresentò nella sala del consiglio, tra la generale disapprovazione Vibhisana tentò ancora di riportare Ravana alla ragione, ma Ravana si sentiva troppo attratto a Sita e non poté accettare le cose come realmente erano. Ignorò completamente Vibhisana e lo interruppe, rivolgendosi a Prahasta.
“Ho preso la mia decisione. Non rinuncerò a Sita. Io non posso dimostrare paura davanti a un nemico così inconsistente. Io sono l'invincibile Ravana e mai ho conosciuto l'onta della sconfitta. Rama e il suo esercito di scimmie non mi fanno paura. Li combatteremo e li distruggeremo. Disponi quindi le nostre truppe in difesa della città e falle preparare alla guerra.”
Tutti gridarono dalla gioia e festeggiarono la decisione del loro re. In quel momento un rumore assordante fermò la discussione. Una guardia avvertì Ravana che il suo fratello più giovane Kumbhakarna si era appena svegliato da un lungo sonno e stava arrivando.
Kumbhakarna era il più forte Rakshasa che fosse mai esistito. Era gigantesco e il solo pensare a lui incuteva terrore. Quando entrò tutti lo salutarono rispettosamente. Rama lo informò degli ultimi avvenimenti. Kumbhakarna non sembrò condividere l'atto del rapimento di Sita, tuttavia lo rassicurò che in caso di guerra gli avrebbe dato il suo appoggio. Ravana pensò che se Kumbhakarna avesse combattuto la vittoria sarebbe stata certa.

69 Perché non la prendi con la forza?Mahaparsva, uno dei più famosi tra i generali, intervenne.
“Perché, visto che sei tanto attratto a quella donna, non la prendi con la forza? In fin dei conti sei il re qui, e tutto ciò che si trova su questo territorio è tuo di diritto.”
Vibhisana ebbe un tremito di rabbia al vile suggerimento. Ravana sembrò riflettere per un po’.
“Sì, è giusto che lo sappiate,” disse poi. “C'è una cosa che ho tenuta segreta per tanto tempo e che ora voglio raccontarvi. Non posso prendere una donna contro la sua volontà, altrimenti morirei. Un giorno violentai un'Apsara di nome Punjikasthala che corse da Brahma chiedendo vendetta. Allora Brahma s'infuriò e mi maledisse:
“Ravana, se ancora prenderai una donna contro la sua volontà, le tue teste esploderanno in cento pezzi.”
“Cari amici, è solo per questa ragione che non ho ancora preso Sita con la forza. Se non avessi sopra di me quella terribile maledizione avrei già soddisfatto il più caro dei miei desideri.”

70 Vibhisana lascia LankaIl virtuoso Vibhisana, a quel punto, tentò ancora di convincerlo a riportare Sita dal marito, ma tutti disapprovarono quel consiglio ritenendolo un atto di codardia. Perdendo la pazienza, Ravana lo insultò e Vibhisana decise di lasciare Lanka e di andare ad aiutare Rama contro quelle forze malefiche. Anche se quelli contro cui avrebbe combattuto erano i suoi stessi parenti ed amici, Vibhisana pensò che la verità era più importante dei temporanei vincoli familiari. Sdegnato, lasciò la città. Subito dopo Ravana si pentì di aver trattato Vibhisana in quella maniera e lo mandò a cercare, ma non lo trovò più.
In meno di un'ora Vibhisana arrivò dove gli eserciti di Rama erano accampati e annunciò la sua venuta. Il suo arrivo causò malumore. Molti Vanara erano diffidenti, ma Hanuman lo riconobbe e ricordò come egli lo avesse difeso contro il parere di tutti gli altri. Vibhisana fu accettato come amico e alleato e portato di fronte a Rama. Si inchinò rispettosamente.
“Rama, io sono Vibhisana,” disse, “il fratello minore di Ravana e Kumbhakarna. Nel mio cuore ho sempre disapprovato le attività demoniache di mio fratello, anche nel caso del rapimento di Sita, ma egli non ha voluto ascoltare i miei consigli. Per l'ennesima volta oggi ho cercato di fargli capire quali sono le cose giuste da fare e mi ha insultato. Non voglio più stare dalla parte dei malvagi e degli oppressori, quindi vorrei aiutarti a vincere questa battaglia. Io conosco tutto su Ravana, sui suoi soldati e sulle fortificazioni di Lanka, e ti darei un prezioso contributo.”
Nonostante le diffidenze di molti, Rama, che sapeva leggere nel cuore delle persone sincere, lo accettò come amico. Così il giusto Vibhisana si unì a Rama.

71 Il ponte sul mareNel frattempo le spie Rakshasa, che erano disseminate ovunque, informarono il re che l'esercito dei Vanara si stava avvicinando. Ravana allora convocò Shuka, uno dei suoi fidati ambasciatori e gli affidò una missione.
“I Vanara si stanno avvicinando. Non pensavo che fossero così temerari, eppure stanno arrivando. Cerchiamo di evitare la guerra. Porta ai loro capi un messaggio per tentare di scoraggiarli. E quando sarai fra di loro osserva bene il loro numero e la vera entità della loro forza. Tu sei esperto, sai riconoscere le capacità di un nemico. Vai, dunque, e torna presto.”
Shuka viaggiò velocemente e arrivò dove i Vanara erano accampati. Rimase stupefatto nel vedere il loro numero: sembravano un oceano che si muoveva brulicante, dove ogni goccia era un guerriero determinato ad avere giustizia. Chiese del loro capo e fu condotto a Sugriva, a cui lesse il messaggio. Era così insolente e aggressivo che alcuni Vanara se la presero con Shuka e lo malmenarono. Rama prontamente ordinò di fermarsi, ammonendoli che quello non era un comportamento civile. Lo fece liberare e gli permise di terminare di leggere il messaggio. Era inviata personalmente a Sugriva.
“... Non aiutare, quindi, Rama in questa impresa disperata, dove perderai tutto, compresa la vita,” terminò l’intimorito Shuka. “Schierati dalla mia parte e ti coprirò di ricchezze e di gloria!”
“Avete sentito che viltà?” gridò Sugriva appena ebbe finito di ascoltare il messaggio. “Ha paura di noi e cerca di convincerci ad abbandonare la missione.”
Tutti scoppiarono con delle risate di scherno. Sugriva riprese: “Ascoltami bene, messaggero. Dì questo al tuo padrone. Il coraggio è una ricchezza che lui non ha e che quindi non mi può dare. Digli che presto arriveremo a Lanka e distruggeremo lui, la sua stirpe intera e la sua città. Noi non tradiremo Rama.”
A Shuka non fu permesso di tornare subito a Lanka: i Vanara pensarono bene di liberarlo quando sarebbero stati più vicini all'isola. Pochi giorni dopo arrivarono sulle rive dell'oceano. Rama osservò il vasto corpo d'acqua, un enorme e insormontabile mare che lo separava da Lanka. Come attraversare tale distanza? Un intero esercito, poi, come l'avrebbe attraversato? Sembrava un problema irrisolvibile. L'unica soluzione era che l'oceano stesso li facesse passare.
“Io chiederò a Varuna di apparire di fronte a me,” pensò Rama, “e poi gli chiederò il favore di lasciarci passare.”
Rama raccolse dell'erba kusha e ne fece un cuscino. Sopra quell'erba santa si sedette in meditazione. Così stette interi giorni e notti, meditando e chiedendo a Varuna di apparire. Passarono diversi giorni, ma il Deva non appariva. Agitato al pensiero di Sita, il desiderio di rivederla e di liberarla gli rendeva insopportabile quell'attesa inerte. Perse la calma e sentì la furia crescergli nel cuore.
“Se Varuna non appare, io distruggerò l'oceano con tutti i suoi abitanti!”
Estraendo dalla faretra enormi frecce, egli prese a scagliarle senza interruzioni, una dopo l'altra, con violenza inaudita, uccidendo una moltitudine di pesci. Le acque si agitarono così tanto che l'oceano straripò in più punti e ci fu una terribile tempesta. Ovunque era caos. Ma Varuna ancora non si decideva ad apparire. E Rama prese la terribile arma presieduta dal mantra a Brahma e la fissò sull'arco. Solo allora, vedendo prossima la sua distruzione, Varuna emerse dalle acque tempestose e si inginocchiò davanti a Rama con le mani giunte.
“Perdona la mia offesa verso di te, o Rama,” disse in tono di preghiera. “Io vi lascerò passare senza alcun dubbio. Chiama Nala, il figlio di Visvakarma, e digli di costruire un ponte sopra le mie acque. Non preoccuparti. Io sorreggerò il vostro peso.”
Gioiosamente i forti Vanara cominciarono a prendere degli enormi macigni, dei picchi di montagna, alberi, o qualsiasi altra cosa che potesse far volume nella costruzione del ponte, e dopo aver scritto il nome sacro di Rama su di esse, li gettarono nelle acque. E come per miracolo, nonostante il peso, non affondarono. Ben presto, sotto l'esperta direzione di Nala, il ponte fu ultimato. Gioiosamente, i Vanara cominciarono la traversata.

72 L’esercito arriva a LankaLanka fu avvistata. Rama ordinò che Shuka fosse rilasciato e gli disse di correre dal suo re a trasmettergli il messaggio e la loro determinazione di liberare Sita ad ogni costo. Shuka non si fece pregare. Corse da Ravana e gli raccontò tutto.
“... Mio caro re,” raccontò con voce trafelata, “inoltre non hai idea della loro potenza militare. Il loro numero è tale che non può essere neanche immaginato, e la loro forza fisica personale è straordinaria. Non hai speranze in questa battaglia. Restituisci Sita, per il bene di tutti.”
Sorpreso e furente nell'ascoltare uno dei suoi più fedeli aiutanti tessere le lodi dei suoi nemici, Ravana descrisse, d'altra parte, l'immensa forza dei Rakshasa. Ma proprio mentre parlavano uno dei suoi generali gli portò la notizia che il nemico era giunto nell'isola.
Ravana mandò ancora Shuka, stavolta accompagnato da un altro ambasciatore di fiducia di nome Sharana, a spiare l’esercito avversario e a portargli notizie più dettagliate. Ma mentre cercavano di spiare protetti dal buio della notte, Vibhisana li scoprì e li catturò. Rama vide le due spie e sorrise:
“Siete venuti per spiarci? Potevate chiederlo,” disse ironicamente. “Vi avremmo fatto vedere tutto noi stessi. Venite.”
E li portò a fare un giro accurato del suo esercito. Poi li rilasciò. I due tornarono da Ravana e gli diedero la descrizione desiderata.
“Abbiamo visto la potenza militare dei nostri nemici. Ciò che possiamo dirti, a questo proposito, è solo questo: libera Sita, per il bene tuo e di tutto il popolo.”
Shuka e Sharana erano due dei suoi ministri e la loro fedeltà era fuori discussione. Perciò si stupì di tali descrizioni e cominciò a temere che corrispondessero alla verità. Ravana decise di andare a controllare di persona. Insieme ad altri salì nervosamente le scale della sua torre più alta e appena si affacciò vide uno spettacolo impressionante. Non lontano dalle mura della città si stendeva a perdita d'occhio un immenso tappeto vivente brulicante di Vanara. Era incredibile. Milioni e milioni di possenti nemici si dirigevano lentamente ma inesorabilmente verso la città. Sembrava un mare inarrestabile di guerrieri assetati di sangue e di giustizia! Ravana era impressionato. Si rivolse a Sharana.
“Fedele amico, chi sono i capi di questo immenso esercito? Parlami di loro e illustrami le loro capacità.”
Sharana additò Hanuman, Sugriva, Angada, Nila, Nala, Jambavan, e descrisse dettagliatamente la loro forza personale. Poi parlò di tutti gli altri capi, descrivendoli come guerrieri invincibili sul campo di battaglia, tutti dotati di terribile prodezza.
Irritato, Ravana espulse Shuka e Sharana dalla corte e mandò altri Rakshasa a spiare il nemico, nella speranza che riportassero notizie più ottimistiche. Ma anche questi altri tornarono dal loro re riferendogli le stesse cose, e anche loro furono istericamente cacciati via.

73 La falsa morte di RamaTurbato, Ravana ebbe paura di perdere la guerra e soprattutto temette di perdere Sita, che desiderava follemente. Decise di fare un altro tentativo per conquistarla ed evitare la guerra.
C'era a Lanka un mago di nome Vidyujjihva che aveva capacità straordinarie nel creare illusioni. Grazie ai suoi poteri, creò una testa perfettamente uguale a quella di Rama e andarono a portarla a Sita. Quando arrivarono, gliela gettarono ai piedi.
“Eccolo, il tuo caro consorte,” gridò Ravana. “Io l'ho ucciso e decapitato. Ora accettami come marito e goditi la vita.”
Ma ottenne l'effetto contrario. Credendo Rama ucciso e decapitato, Sita scoppiò in un pianto convulso e pensò solo a morire. Ma la discussione durò poco, interrotta bruscamente. Un'urgenza richiedeva la sua presenza altrove. Ravana lasciò Sita piangente e disperata. Nascosta dietro una siepe c'era Sarama, la moglie di Vibhisana. Lei sapeva quanto crudele Ravana fosse e conosceva molto bene il mago a cui si era rivolto.
“Casta signora, non piangere,” disse in un sussurro. “Non disperarti. Rama non può essere sconfitto da nessuno. Non esiste chi può ucciderlo. Io so che in questo momento il suo esercito ha posto Lanka in assedio e presto sarà qui da te. Non perdere fiducia. Io conosco chi ha prodotto quell'illusione. C'è un mago malvagio che può fare quelle cose. Io conosco bene Vidyujjihva. Non preoccuparti, presto le tue sofferenze termineranno.”
A quelle parole di Sarama, Sita si rincuorò e gliene fu grata. Arrivarono le prime notizie della battaglia imminente.

74 La sfida di SugrivaMalyavan era uno dei Rakshasa più anziani e saggi ed era molto rispettato nella corte. Vedendo segni premonitori sempre peggiori, consigliò Ravana di restituire Sita e di far pace con Rama. Ravana ruggì come un leone.
“Che tipo di incantesimo ha lanciato questo essere insignificante sui miei collaboratori, anche i più stretti, perché tutti abbiano paura di lui? Avete dimenticato che io sono Ravana? Io sono Ravana! Ho sconfitto in combattimento i più grandi Deva; e ora dovrei aver paura di due uomini e di un pugno di scimmie? Siete diventati tutti dei vigliacchi? O l'età vi ha oscurato la vista e la ragione? Da soli io, i miei figli e Kumbhakarna possiamo distruggere l'universo intero. Nessuno potrà mai dire che Ravana ha avuto paura, che si è tirato indietro davanti a una sfida!”
Gridando, Ravana si ritirò nelle sue stanze.
La sera stessa gli eserciti si schierarono in posizione di combattimento. La guerra era oramai inevitabile. I Rakshasa e i Vanara si scrutarono e si studiarono vicendevolmente, armati fino ai denti. Rama e i suoi collaboratori più intimi salirono sulla montagna Suvala ed ebbero una panoramica di Lanka. In questa attesa passò la notte.
Appena il sole sorse, Rama osservò attentamente la città e fu colpi-to da tanta bellezza. E lì in cima alla torre più alta, Rama scorse le dieci teste di Ravana. Era lui, in persona. Mentre lo guardavano, Sugriva non riuscì a contenere la furia e, senza consultare nessuno, spiccò un salto prodigioso e assalì Ravana dall'alto. Veloce come un'aquila, colpendolo con uno schiaffo poderoso, gli gettò a terra il diadema imperiale. Provocato, Ravana tentò di reagire, ma Sugriva, rimbalzando come una palla, gli sfuggì dalle mani e tornò da Rama.
Rama lo rimproverò severamente.
“Non essere così impulsivo. Se fosti caduto prigioniero avresti compromesso il successo della nostra missione.”
Ma era contento della dimostrazione di valore che Sugriva aveva dato.

75 La guerra cominciaRama pensò di fare un ultimo tentativo di evitare la guerra e risolvere tutto pacificamente. Mandò Angada come ambasciatore per cercare di convincere Ravana, ma fu tutto inutile. Trascinato dal proprio destino oramai scritto in chiare lettere, Ravana rifiutò ogni discussione. Cercò persino di far imprigionare Angada, che però riuscì a fuggire e a tornare da Rama.
Sri Rama Candra, nato sulla terra per distruggere i malvagi Rakshasa, capì che non c'era nient'altro da fare che assolvere il proprio compito. L'unica soluzione era la guerra. Diede quindi l'ordine di completare l'assedio di Lanka. All'interno della città c'era un gran fermento di preparativi per la guerra.
E le ostilità cominciarono.
L'inizio della battaglia fu scoraggiante per i Rakshasa. Migliaia di soldati furono colpiti da armi varie; e teste e braccia e gambe e corpi mutilati in varie tremende maniere cominciarono ad ammassarsi sul campo di battaglia. Molti grandi guerrieri caddero: le frecce di Rama e Lakshmana sibilavano nell'aria come serpenti velenosi alati, prendendo migliaia di vite. La maniera di combattere dei due fratelli era sovrumana.
Nessuno riusciva a vedere i loro movimenti, né le frecce: si vedevano solo quando arrivavano. La battaglia infuriava violentissima in ogni luogo.
76 Indrajit lega Rama e LakshmanaGrida di gioia, intanto, si levavano da un lato del campo di battaglia: Angada aveva sconfitto Indrajit, che era stato costretto a ritirarsi. Ma lui rientrò da un'altra parte del campo di battaglia ed evitando di incontrare Angada attaccò direttamente Rama e Lakshmana. Il figlio di Ravana era in possesso di un'arma particolare chiamata naga-pasa, che dalle frecce produceva serpenti che legavano o uccidevano coloro che ne erano colpiti. Con grande destrezza Indrajit scagliò l'arma micidiale e, gravemente feriti, Rama e Lakshmana caddero sul terreno, immobili: sembravano morti. Quando i Vanara videro le loro condizioni, si disperarono e cercarono di farli tornare ai loro sensi. Ci fu un certo tumulto fra i Vanara, che si credettero senza una guida e non sapevano più da chi ricevere gli ordini. La battaglia diventò caotica. Indrajit invece tornò dal padre e gli dette la buona notizia. Ravana proruppe in un grido di vittoria.
“Finalmente stiamo tornando in noi. Quegli uomini non possono resistere sul campo di battaglia contro i nostri migliori guerrieri. Guardie, ordinate alle donne che vigilano su Sita di condurla sul campo e di mostrarle le condizioni di Rama.”
Condotta sul carro Pushpaka, Sita vide il campo di battaglia, dove migliaia di persone stavano rischiando la vita per lei. C'era un polverone fitto, e lo spettacolo della morte era spaventoso. Vide il marito disteso sul terreno e pianse disperatamente, credendolo morto. Ma poi si calmò. “I saggi della foresta mi hanno predetto,” pensò, “che io non sarò mai vedova e che sarei diventata madre. Le predizioni di quei santi non possono essere false. Rama non può essere morto. Forse è ferito, o forse è svenuto.”
E proprio mentre era assorta in quei pensieri, Trijata le si avvicinò.
“Sita, non hai ragione di angustiarti,” le bisbigliò all'orecchio. “L'energia divina, la sua misericordia e benevolenza, è dalla tua parte. La rettitudine è la tua arma e non può mai fallire, mai essere sconfitta. Presto sarai libera da questa ingiusta prigionia.”
Sita venne ricondotta indietro.
Faticosamente, Rama mosse un braccio. Poi l'altro. I Vanara gridarono dalla gioia. Non era morto. Gradualmente riprese coscienza e si alzò. Vide Lakshmana disteso sul terreno. Non riuscendo a farlo riavere ebbe paura di averlo perduto. In quella situazione di timore Garuda, l'aquila che eternamente trasporta Vishnu e che è nemico dei serpenti, apparve e mise in fuga i naga-pasa. Lakshmana gradualmente tornò alla coscienza. Vedendo Rama e Lakshmana liberi dall'arma del terribile figlio di Ravana, i Vanara produssero grida di gioia ancora più forti, che vennero udite dai Rakshasa. Tutti tornarono a combattere con incontenibile entusiasmo.

77 La morte di valorosi guerrieriLa battaglia riprese. I rumori erano assordanti, il campo di battaglia un immenso cimitero. Avvertito che i suoi nemici si erano in qualche modo liberati dall'influenza del naga-pasa, Ravana mandò contro di loro un potente generale. Costui si chiamava Dhumraksha, e mai aveva conosciuto la sconfitta. Dopo un violentissimo combattimento fu ucciso da Hanuman.
Altri possenti Rakshasa, accompagnati dai loro battaglioni, furono mandati sul campo di battaglia, ma tutti seguirono la sorte di Dhumraksha: Vajradamshtra fu ucciso da Angada, Akampana da Hanuman. Anche il grande e famoso Prahasta, il più stretto collaboratore di Ravana e il suo amico più caro, fu ucciso da Nila.
La morte di Prahasta fu un duro colpo per Ravana. La sua furia divampò. E scese in persona sul campo di battaglia. Fu terrificante. Gettò lo scompiglio e il terrore nell'esercito avversario e uccise in pochi minuti migliaia di Vanara. Dapprima Lakshmana, poi Hanuman e via via altri lo affrontarono, ma dovettero ritirarsi. Poi si trovò faccia a faccia contro Rama. Dopo un breve ma intenso combattimento, Ravana dovette battere in ritirata e rifugiarsi a Lanka. Lì decise di porre fine alla guerra svegliando il grande Kumbhakarna.

78 KumbhakarnaIl fratello minore di Ravana era il mostro più spaventoso che il mondo avesse mai conosciuto. Era enorme, possente, invulnerabile a qualsiasi arma, spietato in combattimento. Era davvero una fortuna per tutti che per la benedizione di Brahma spesso cadeva in un sonno profondo che durava mesi. Ravana era determinato a ricorrere al fratello per vincere quella guerra che si stava mettendo male.
Centinaia di soldati furono mandati nel gigantesco palazzo di Kumbhakarna e cercarono di svegliarlo in tutte le maniere. Lo chiamarono gridando a squarciagola, batterono tamburi, suonarono stru-menti direttamente nel suo orecchio, gli saltarono sopra, ma fu tutto inutile: non si svegliava. Quando respirava provocava un vento impetuoso che spostava chiunque ne fosse investito. Mille elefanti vennero fatti passare sul suo corpo gigantesco. Infine si mosse, leggermente. Stava svegliandosi. Si alzò e vide tutta quella gente intorno a lui e chiese cosa stesse succedendo. Tutti furono contenti di essere riusciti a svegliarlo.
“Grande Kumbhakarna,” gli dissero, “c'è una situazione di grande gravità che richiede il tuo intervento. Tuo fratello, il re, ci ha ordinato di venire a svegliarti. Ti aspetta. Vuole parlarti.”
Dopo essersi sfamato con molta carne e sangue caldo, Kumbhakarna si recò dal fratello. Quando uscì dal palazzo e camminò all'aperto, l'effetto che fece fu sconvolgente. Era così alto e maestoso che era visibile a chilometri di distanza. Fuori dalle mura i Vanara lo intravidero e rabbrividirono di terrore: tutti si chiesero chi fosse quel colosso. Rama lo chiese a Vibhisana.
“Vibhisana, chi è quel gigantesco mostro? Lì, quello. Quando cammina fa tremare la terra e i nostri guerrieri, anche i più coraggiosi, ne sono rimasti impauriti.”
Vibhisana lo guardò e sembrò visibilmente preoccupato.
“Quello è il mio fratello maggiore, Kumbhakarna. Se scenderà sul campo di battaglia dovremo prepararci a un scontro durissimo. Kumbhakarna è terribile quando combatte.”
Incoraggiando i soldati e dando loro istruzioni, Rama si preparò allo scontro.
E mentre i suoi nemici si preparavano, Kumbhakarna entrò nel palazzo reale. Ravana lo rivide con gioia. Raccontò gli ultimi sviluppi della crisi. Solo allora Kumbhakarna seppe quanti bravi amici e soldati erano morti. Fin dall'inizio non aveva mai condiviso il comportamento del fratello, per cui tutto ciò confermò solo quanto lui e pochi altri avessero visto giusto.
“Potente Kumbhakarna,” disse Ravana, “dammi sollievo da questa grande ansietà. Il mio nemico si sta dimostrando più forte del previsto e molti dei nostri cari amici hanno già perso la vita. Persino Prahasta è morto. Tu puoi liberarmi dal peso di questa angoscia. Aiutami, ti prego.”
“Fratello mio,” rispose Kumbhakarna rattristato da quelle notizie, “tu non hai voluto ascoltare i buoni consigli dei tuoi veri amici, primi fra cui Vibhisana, che hai cacciato via e che ora si trova tra le file dei tuoi nemici. Queste sono le reazioni che ora devi raccogliere. Io non ho mai condiviso il tuo comportamento al riguardo del rapimento di Sita, ma ti sei fatto sopraffare dalla lussuria e dai cattivi consiglieri. Comunque, ormai siamo andati troppo oltre per sperare in soluzioni diverse. Come ti dissi già in precedenza, io sono pronto a combattere e, se necessario, a rinunciare alla mia vita per te. Ma ricorda quello che ti ho già detto: ognuno raccoglie ciò che semina.”
Ravana, ascoltato quello che voleva ascoltare, e cioè che suo fratello sarebbe sceso sul campo di battaglia, non dette peso ai rimproveri, sicuro della vittoria finale.
“Non sai quanto mi fai felice sentendoti parlare così,” replicò. “Non è mai esistito qualcuno che potesse fronteggiarti. Vai dunque, e distruggi i nostri nemici.”
Prima di andare Kumbhakarna rimproverò ancora Ravana per i suoi errori e Mahodara, uno dei generali, ribatté e riprese a sua volta Kumbhakarna. Nel corso della discussione, Mahodara suggerì di mettere in atto uno stratagemma per conquistare Sita e porre fine alla guerra. Kumbhakarna, sdegnato, rifiutò ogni trucco, ritenendoli indegni di un guerriero valoroso e decise di scendere subito sul campo di battaglia. Dopo aver riunito il suo esercito, il più grande Rakshasa mai esistito uscì dalle mura della città e si diresse dove la battaglia stava infuriando. Quando i Vanara videro l'orribile mostro avvicinarsi con gli occhi dilatati dalla furia che brillavano come tizzoni ardenti, fuggirono terrorizzati. Angada, vedendo le truppe messe in fuga da Kumbhakarna, recuperò i fuggitivi e li rincuorò. E, con un atto di supremo coraggio, si lanciò contro il nemico. Si scatenò una terrificante battaglia. Il Rakshasa causò subito una spaventosa carneficina e i Vanara superstiti fuggirono terrorizzati. Non c'era verso di combattere contro quella montagna semovente, contro la quale ogni arma sembrava inefficace. Angada organizzò un altro battaglione formato dai soldati più valorosi e guidato dai migliori generali, e marciò ancora contro il grande Rakshasa.
Le ostilità divamparono più feroci che mai. E Kumbhakarna causò perdite gravissime al nemico. Combatteva con ogni mezzo a disposizione, con furia inaudita, divorando inarrestabilmente decine di grandi Vanara alla volta. Così tanti se ne gettava in bocca che molti fuoriuscivano dalle narici o dalle orecchie. Attaccato da ogni parte da migliaia di nemici arrabbiati, incurante delle numerose ferite causategli dalle lance, dalle spade, dalle mazze, dai macigni, e persino dai morsi e dai graffi, Kumbhakarna continuò a distruggere intere divisioni di possenti Vanara, tutti forti come leoni e veloci come il vento. Sembrava invulnerabile, nessun’arma aveva effetto su di lui.
Sconfiggendo grandi generali come Hanuman, Kumbhakarna sembrava la morte personificata: ovunque andava mieteva vittime. Oramai i più tentavano solo di fuggire appena si avvicinava. Coperto dalla testa ai piedi di armi, di sangue, di corpi di nemici vivi e morti, Kumbhakarna era impressionante a guardarsi.
Prendendo coraggio, il forte Angada spiccò un salto prodigioso e colpì al petto il Rakshasa con il suo potente pugno. Per la prima volta Kumbhakarna sembrò accusare il colpo. Ma subito si riebbe e colpì di ritorno. Il valoroso Vanara, proiettato lontano dalla violenza del colpo, svenne.
Sugriva, infuriato dalle perdite che il suo esercito stava subendo per colpa di quel mostro, intervenne e, nel mezzo del clamore della battaglia, ingaggiò un frenetico duello. Colpito da Kumbhakarna, perse i sensi. Vedendo il re dei suoi nemici sul terreno svenuto, Kumbhakarna decise di portarlo prigioniero a Lanka. Così lo afferrò, lo caricò sulle spalle e si diresse verso la città. Nessuno tentò di ostacolarlo. Quando videro Sugriva catturato, i Vanara pensarono che ormai non fosse più possibile sperare nella vittoria finale. Lo scoraggiamento fu totale.
Quando lo videro entrare in città con il re dei Vanara prigioniero, Kumbhakarna venne festeggiato da tutti. In quel momento Sugriva riprese coscienza e si accorse di cosa era accaduto. Si vide trasportato dal gigantesco Rakshasa dentro la città circondato da migliaia di nemici festanti che credevano ormai vinta la guerra. Immediatamente reagì, con violenza. Con le unghie strappò metà dell'orecchio del colosso e con i denti gli tranciò il naso. Kumbhakarna, gridando dal dolore, prese il Vanara e lo gettò in terra. Rimbalzando prodigiosamente come una palla, Sugriva spiccò un salto e si riunì al suo esercito. Tutti festeggiarono l'inconcepibile impresa di Sugriva.

79 La morte di KumbhakarnaFuori di sé dalla rabbia, ferito e sanguinante, Kumbhakarna afferrò una gigantesca mazza e tornò sul campo di battaglia. Durante il tragitto divorò con noncuranza migliaia di Vanara e ricominciò la sua spaventosa carneficina.
Vedendo che nessun altro era in grado di fronteggiarlo, Lakshmana decise di intervenire. Dal suo arco saettarono con una velocità inconcepibile innumerevoli frecce infuocate che penetrarono nel corpo dei Rakshasa come serpenti che penetrano nelle loro tane. Kumbhakarna sghignazzò con voce cavernosa, schernendo il giovane principe.
“Ho visto il tuo valore,” gli disse, “ma non voglio combattere contro di te, io voglio combattere solo contro Rama in persona.”
Impetuosamente passò oltre Lakshmana e in lontananza vide Rama. Simili a moscerini che corrono e periscono in un grande fuoco, migliaia di Rakshasa affrontavano il figlio di Dasaratha. Vederlo combattere era uno spettacolo. Osservando i suoi soldati perire senza potersi neanche difendere, Kumbhakarna corse furiosamente verso di lui, ruggendo come un leone. A quel punto la battaglia divampò ancora di più, feroce e indescrivibilmente violenta. Mentre correva, desideroso di combattere contro Rama, Kumbhakarna fu fermato da Vibhisana.
“Fermati, Kumbhakarna. Combatti contro di me, invece che contro Rama,” gli gridò.
Kumbhakarna si fermò e lo guardò, pieno di affetto fraterno.
“Tu, Vibhisana,” gli disse, “sei sempre stato l'unico della nostra razza che mai ha deviato dal sentiero della giustizia. Mai ti sei lasciato trasportare dai desideri e dall'odio. Per questo tu non devi morire. Colpiscimi, dunque: io non reagirò contro di te. Ciò che sta accadendo in questa guerra è il logico risultato della stupidità di nostro fratello. Cosa posso farci io? Sono legato dai legami della famiglia e dall'affetto e non posso ritirarmi da questo combattimento. Io userò tutta la potenza di cui dispongo per far emergere vittorioso Ravana. Ma so che alla fine saremo sconfitti e che tu rimarrai il reggente del nostro regno, perpetuando la linea del nobile Pulastya.”
Vibhisana fu toccato da quelle sagge parole.
“Tante volte ho dato i miei buoni consigli a nostro fratello,” gli disse, “ma lui non ha mai voluto ascoltarmi seriamente. E’ colpa sua se ora ci troviamo come nemici su questo campo di battaglia. Io non posso colpirti, sei mio fratello.”
Così dicendo, con gli occhi pieni di lacrime, osservando la terribile carneficina che si svolgeva tutt'intorno, si sedette sopra un macigno e appoggiò il mento sul pugno, assorto in chissà quali pensieri.
Con un ultimo sguardo al fratello, Kumbhakarna si scagliò impetuosamente contro Rama. I due si fronteggiarono. Rama gettò contro il nemico migliaia di frecce e Kumbhakarna reagì alla stessa maniera. Il duello fu violentissimo. Ma nel libro divino dove sono scritte le vite di ognuno, sulle pagine riguardanti il Rakshasa stavano scorrendo le ultime parole. Erano gli ultimi istanti della sua vita. Rama mirò una freccia possente al braccio destro, staccandolo di netto. Ma il valoroso Kumbhakarna continuò il combattimento come se nulla fosse successo. Rama gli scagliò contro una freccia simile che gli recise il braccio sinistro. Il braccio cadendo da quell'altezza schiacciò sotto il suo peso molti alberi, Vanara e Rakshasa. Ma lui continuò ad avanzare, così, senza braccia, schiacciando i nemici sotto i piedi. Freddamente, Rama gli tagliò anche le due gambe. Ma neanche in quella condizione, così mutilato, il glorioso Kumbhakarna si arrestava. Si trascinava in avanti con la bocca spalancata e divorò molti Vanara, schiacciandoli fra i denti. Procedette verso Rama.
Vedendo vicina la pericolosa bocca spalancata, il principe la riempì di frecce fiammeggianti. Sentendosi oramai prossimo alla vittoria, Rama pose sull'arco una grossa freccia e recitò con grande devozione il mantra di Indra: con rabbia e con grande forza la scagliò contro il collo del nemico. E la testa del glorioso Kumbhakarna si separò dal corpo e rimbalzò sul campo di battaglia, causando gravi perdite in entrambi gli eserciti. Rimbalzando diverse volte, piombò nel mare e sprofondò. Così il grande Kumbhakarna, che era come una spina nel fianco della gente pacifica, fu sconfitto e ucciso da Rama.

80 La battaglia continua - La furia di IndrajitQuando la testa di Kumbhakarna sprofondò nel mare, il cielo si rasserenò e un'atmosfera di pace si diffuse ovunque. Dall’alto si udirono le voci dei Deva e dei saggi che si congratularono con il vincitore e lo ringraziarono per quell'atto virtuoso. I Vanara tirarono un grande sospiro di sollievo. Quel mostro era diventato il loro incubo e ora che era stato ucciso la vittoria finale sembrava più vicina e più probabile.
Vedendo il corpo mutilato e privo di vita di Kumbhakarna, i Rakshasa si ritirarono e sospesero la battaglia. La brutta notizia fu portata a palazzo: Ravana non riusciva a crederci. Il suo caro fratello, il grande, invincibile Kumbhakarna ucciso? Non riusciva a capacitarsene.
“Come hanno potuto ucciderlo? Dove hanno trovato la potenza necessaria? Mio fratello non poteva essere sconfitto. Ha incontrato i più grandi Deva dell'universo e ha sempre vinto. Come è potuto succedere?”
Sconvolto dal dolore per la perdita del suo caro fratello, Ravana si lamentò pateticamente. Era il suo guerriero più valoroso. Per incoraggiarlo, i suoi figli decisero di uscire personalmente in combattimento, accompagnati da numerosi battaglioni. Ma ciò che sembrava impossibile continuava ad essere amara realtà. Il destino di chi è nel torto spesso si volge contro ogni logica. Angada uccise uno dei figli di Ravana, Narantaka, e Hanuman Devantaka, suo fratello. Nila uccise il grande Mahodara e Rishabha Mahaparsva. Decimati e umiliati i Rakshasa, guidati dal figlio di Ravana, Atikaya, lanciarono un'ennesima offensiva. La battaglia divampò ancora, furiosamente; i combattimenti corpo a corpo erano spietati. Lakshmana affrontò il prode Atikaya e lo uccise.
Senza sosta, le notizie delle sconfitte e delle morti dei suoi cari continuavano ad arrivare alle orecchie di Ravana, che si lamentava per la loro perdita. Temendo per la sicurezza di Lanka, Ravana in persona organizzò la difesa della città nei suoi punti nevralgici.
E Indrajit tornò sul campo di battaglia. Il modo in cui combatteva era mirabile. Poteva muoversi liberamente in cielo e in terra con grande velocità, poteva apparire e scomparire a suo piacimento quando e come voleva, e aveva ricevuto da Brahma armi micidiali. Avendo appena celebrato un sacrificio che lo rendeva ancora più forte, Indrajit comparve sul terreno dove i combattimenti infuriavano. E cominciò la sua opera di distruzione. Massacrati a centinaia dalle terribili frecce del Rakshasa, i Vanara cominciarono a cadere senza vita. Persino i soldati più forti non erano in grado di stare neanche un momento di fronte al figlio di Ravana. Indrajit aveva bisogno di guadagnare tempo: afferrò una freccia, la caricò con un mantra dedicato a Brahma e la scagliò contro i nemici. Si udì un’esplosione: migliaia di Vanara caddero svenuti sul terreno. Persino Rama e Lakshmana persero coscienza. Vittorioso e ottimista, Indrajit si ritirò per portare le buone notizie a suo padre.

81 Hanuman alla ricerca di erbe medicinaliEra una notte fresca. Spirava una leggera brezza e la luna era piena. Non sembrava di essere nel mezzo di una delle più terribili guerre mai combattute. Dopo l'esplosione dell'arma di lndrajit tutto si fece quieto e silenzioso. I Rakshasa si erano ritirati, intimoriti dal pensiero di poter essere vittime loro stessi di quell'arma. Calò il silenzio. La guerra, la violenza: ci sono ragioni, giustificazioni per la loro esistenza? Quella volta si combatteva per una giusta causa, quella volta si combatteva per la pace, per la giustizia, per dare una vita più serena a tanta gente che da troppo tempo subiva le angherie di quei Rakshasa. Non c'era tempo per distendersi e godere del fresco venticello. Quella guerra doveva essere vinta.
I Vanara che non erano stati colpiti dall'arma si guardarono intorno, stupefatti. Quanti di loro giacevano sul terreno morti o privi di sensi? Tanti, troppi. La violenza di quell'arma era inaudita. Videro anche Rama e Lakshmana in terra, e si precipitarono in loro aiuto. Ma nessuno trovò il rimedio per rianimare i due fratelli. Vibhisana era tra coloro che non avevano subito danni. Corse sul luogo e vide ciò che era successo.
“Perché siete tristi e scoraggiati?” disse a voce alta. “Indrajit ha ottenuto quell'arma da Brahma stesso: come potevano Rama e Lakshmana mancarle di rispetto e non farsi sopraffare? Non sono morti, guardateli bene, respirano ancora.”
Hanuman era chino sui loro corpi e massaggiava le loro membra.
“Saggio Vibhisana,” chiese con voce triste, “come possiamo ora far riavere Rama e Lakshmana? E anche tutti questi cari compagni che sono caduti, feriti da questa terribile arma? Dicci: cosa possiamo fare?”
“Dov'è Jambavan?” replicò Vibhisana. “E’ il figlio di Brahma. Saprà sicuramente come neutralizzare quest'arma che appartiene a suo padre. Cercatelo, e pregate che sia ancora vivo.”
Era notte, non si vedeva quasi nulla. Non era facile cercare una persona in mezzo ai milioni di corpi distesi sul terreno. Alla luce delle torce, Hanuman cercò con grande ardore. Il suo cuore era così triste nel vedere anche Sugriva, e Angada, e Nila, e Sharabha e molti altri compagni distesi in terra, sanguinanti e privi di coscienza. Dopo un po’ trovarono Jambavan, anche lui gravemente ferito, simile ad un fuoco che sta per estinguersi. Vibhisana lo chiamò dolcemente.
“Venerabile signore, amico caro,” supplicò. “Spero che a causa delle frecce del terribile lndrajit la tua vita non sia alla fine. Come ti senti?”
“I miei occhi sono ottenebrati,” rispose Jambavan con un filo di voce, “e non sento più le mie forze. E’ stato terribile. Ma ditemi se Hanuman è ancora vivo. Se lui è ancora fra di noi ci sono ancora speranze di vittoria; ma se è morto, allora possiamo considerarci sconfitti.”
E Jambavan chiese ripetutamente se Hanuman fosse ancora vivo. Umilmente Hanuman si avvicinò e lo chiamò, facendo sentire la sua voce. Jambavan sorrise e scosse la testa.
“Hanuman, valoroso figlio del Deva del vento, tu devi salvare il nostro esercito e la vita di Rama e Lakshmana. L'arma di Brahma, lanciata da un guerriero del calibro di Indrajit, è incontrastabile. Tu solo, ora, puoi aiutarci. Vai sull'Himalaya e cerca le erbe medicinali che ora ti descriverò. Queste erbe hanno un forte potere curativo e possono far svanire l'effetto dell'arma di Indrajit. Ma fai presto. Il nostro destino dipende solo da te.”
Jambavan descrisse ad Hanuman la montagna e le erbe. In gran fretta Hanuman partì e attraversò ancora una volta l'oceano. Presto arrivò sulle montagne Himalaya.
Appena le erbe che regnavano su quelle montagne lo videro avvicinarsi si ritirarono dal suolo e scomparvero dalla sua vista. Non riuscendo a trovarle, Hanuman si irritò e sradicò la montagna. E il figlio di Vayu portò la montagna Rishabha a Lanka. Con quelle erbe i Vanara furono curati e le loro ferite si cicatrizzarono subito.
82 L'invasione di LankaI Vanara passarono la notte a curare i feriti. Risollevati ed entusiasmati per lo scampato pericolo, la mattina seguente sferrarono un attacco veemente alle mura della città, e in più punti riuscirono a penetrare all'interno. La battaglia fu feroce: migliaia di corpi mutilati lastricarono il terreno. I Vanara entrarono nella città ed iniziarono l'opera di distruzione. Il fuoco divampò ovunque, bruciando centinaia di case. Devastata dal fuoco e dai numerosi e potenti Vanara, Lanka assunse un aspetto spettrale. Molti Rakshasa cominciarono a fuggire, tentando di salvarsi la vita. Ravana, sempre più fuori di sé dalla frustrazione, mandò avanti i suoi più forti guerrieri, ma furono tutti sconfitti. Angada uccise Kampana e Prajangha, Dvivida Sonitaksha. Mainda uccise Yupaksha e Sugriva Kumbha. Dopo un feroce duello, Hanuman riuscì ad eliminare uno dei figli di Kumbhakarna, il poderoso Nikumbha. La battaglia continuò feroce e violenta. Trascinati dal destino ineluttabile, i Rakshasa erano puntualmente sconfitti.

83 La morte di IndrajitLe ultime notizie che arrivarono a Ravana erano intollerabili. E chiamò allora il figlio maggiore. Indrajit traeva gran parte della sua forza da malefici sacrifici neri che celebrava giornalmente. Dopo aver terminato una delle sue cerimonie, ricomparve sulla scena. Vedendolo, i Vanara furono terrorizzati e fuggirono. Rama guardò suo fratello.
“Non c'è nulla da fare. Fintanto che Indrajit è vivo non possiamo vincere questa guerra,” gli disse. “Guarda: dopo aver fronteggiato guerrieri fortissimi, tutti fuggono quando Indrajit si mostra. Incute terrore a tutti. Dobbiamo trovare la maniera di sbarazzarcene subito.”
E proprio mentre Rama parlava, in un colpo solo migliaia di Vanara caddero morti, e gli stessi fratelli furono feriti gravemente. Ordinarono una ritirata per cercare la maniera di porre fine alla continua minaccia che Indrajit rappresentava.
In realtà Indrajit, che ancora non aveva ultimato un diabolico sacrificio che lo avrebbe reso praticamente invincibile, voleva guadagnare tempo. Per scoraggiare i suoi nemici creò un’immagine vivente di Sita e di fronte a tutti la decapitò. I Vanara, vedendo quella scena crudele e sentendo i terribili ruggiti di Indrajit, fuggirono da ogni parte. Hanuman riunì l'esercito in fuga e rilanciò l'offensiva. Ma Indrajit non c'era più: si era defilato, aveva rapidamente raggiunto il santuario di Nikumbhila e si preparava a procedere con le sue cerimonie.
La notizia della morte di Sita arrivò a Rama. Non poteva crederci. Sita uccisa da Indrajit? Rama credette che fosse arrivata la fine. Lakshmana, fuori di sé, gettò un grido di rabbia.
“Oggi io distruggerò tutti i Rakshasa dell'universo!”
E preparò le sue armi. Ma Vibhisana, aiutando Rama a riaversi, lo fermò.
“Rama, Lakshmana, non cadete nel tranello,” disse ai due fratelli. “Quella forma che è stata uccisa non era Sita. Ravana non permetterebbe mai una cosa simile. Indrajit ha escogitato questo trucco diabolico solo per guadagnare tempo. Sono sicuro che in questo momento si trova a Nikumbhila per terminare qualche sacrificio. Ascoltatemi: non dobbiamo lasciarglielo terminare. Se riusciamo ad interromperlo potremo ucciderlo. Manda Lakshmana con me, io gli mostrerò la strada per il santuario. Poniamo fine alla vita di questo essere malvagio.”
Rinfrancato, Rama mandò Lakshmana a Nikumbhila, accompagnato da un'ingente forza. Guidati da Vibhisana che faceva strada, arrivarono rapidamente. E come sospettavano, lì videro le truppe di Indrajit che montavano la guardia. Vedendo il nemico avvicinarsi in un momento non propizio, tentarono di impegnarli in combattimento affinché il loro comandante potesse terminare il sacrificio. Con furia, Hanuman piombò tra le truppe dei Rakshasa e le decimò. Poi chiamò Indrajit a venire fuori e lo sfidò in un duello. E il figlio di Ravana uscì dal santuario. Lakshmana lo vide per primo.
Sfidato da Lakshmana, Indrajit gli corse incontro impetuosamente. Il suo aspetto era terribile, la sua forza incomparabile. Un tempo il suo valore e la sua intelligenza gli avevano permesso di sconfiggere persino Indra, il re dei pianeti celesti. Quando vide Vibhisana a fianco di Lakshmana, Indrajit lo rimproverò aspramente.
“Tu sei un traditore della tua razza. Non ti vergogni a farti vedere a fianco dei nostri nemici mentre uccidi i tuoi fratelli e amici? Vergognati! Sei solo un vile traditore che mira al trono del fratello.”
“Tu sei un ragazzo senza giudizio né esperienza,” replicò Vibhisana, “e la tua crudeltà non ha limiti. Mi sono schierato dalla parte di coloro che tu chiami nemici perché io non sono della tua stessa natura e non godo delle attività empie. Ho preso la loro parte per liberare il mondo dalla gente malvagia come te. Guardalo bene, questo mondo: oggi è il tuo ultimo giorno.”
Pur cosciente di non aver terminato il sacrificio, Indrajit fissò Lakshmana e si lanciò contro di lui. Lo scontro fu feroce. Mentre Lakshmana era personalmente impegnato contro il nemico, Vibhisana prese il comando dei Vanara contro i soldati. Ben presto Indrajit perse il carro e l'auriga, e si ritrovò in una posizione svantaggiosa. Qualcuno gli portò velocemente un nuovo carro e un altro guidatore, e il duello riprese. E mentre Vibhisana e Hanuman massacravano le truppe dei Rakshasa, Lakshmana vide l'opportunità di porre fine all'esistenza di Indrajit. Un momento di disattenzione gli fu fatale: una freccia carica di mantra decapitò il prode figlio di Ravana.
Era fatta. Tutti tirarono un sospiro di sollievo. L'incubo era finito. I pochi superstiti tra i Rakshasa fuggirono, in preda al panico.

84 Ravana combatteTra i Vanara ci furono grandi festeggiamenti per la morte di Indrajit. Rama abbracciò affettuosamente Lakshmana e gli fece curare le numerose ferite da Sushena.
Ravana di certo non gioiva. Indrajit era il suo figlio più caro e lo amava come niente altro. In un impeto di rabbia Ravana decise di uccidere Sita, causa di tutte le sue disgrazie: ma il Rakshasa Suparsva lo convinse a rinunciare all'ignobile atto.
Nel frattempo la battaglia continuava. Rama e i Vanara continuavano nell'opera di distruzione delle truppe nemiche. Pur nel gran clamore della battaglia, a Lanka si udivano i pianti accorati delle Rakshasi che piangevano amaramente la perdita dei mariti, dei figli, dei padri e dei nipoti. Era una scena che spezzava il cuore. Ormai sembrava che non ci fossero più speranze. Ovunque regnava il caos, il dolore, la morte. Vedendo la situazione compromessa e le truppe decimate e terrorizzate, Ravana scese personalmente sul campo di battaglia. E l’effetto per i Vanara fu devastante: migliaia di teste, di braccia, di mani e di gambe saltavano in aria simultaneamente, la velocità e la precisione di Ravana in combattimento erano inconcepibili.
Da un'altra parte del campo di battaglia Sugriva combatteva valorosamente: uccise due famosi generali di nome Virupaksha e Mahodara. Infine Rama e Ravana si trovarono di fronte, l'uno contro l'altro, faccia a faccia.
Dopo uno scambio di parole furiose, lo storico duello cominciò, molto simile ai combattimenti tra Vishnu e i più grandi Asura. A un certo momento, vedendosi di fronte Lakshmana, colui che aveva ucciso suo figlio Indrajit, Ravana gli scagliò contro la lancia che aveva ricevuto in dono da Maya Danava. Colpito da quella lancia fatata, Lakshmana cadde sul terreno, come morto. Rama vide il fratello gravemente colpito, scese dal carro ed estrasse la lancia dal suo petto, incurante della pioggia di frecce che Ravana gli scagliava addosso. Furibondo, Rama guardò Sugriva che non era lontano.
“Amico Vanara,” disse a denti stretti, “che tu mi sia testimone di questo voto: oggi questo mondo resterà senza Ravana o senza Rama. E sii certo che non sarò io a perdere. Oggi darò felicità a tutti distruggendo questo mostro malvagio.”
Lakshmana era in condizioni precarie. Respirava a fatica. La ferita era molto profonda. Rama affidò il fratello all'esperto medico Sushena e tornò a combattere. Hanuman fu mandato nuovamente sull'Himalaya a prendere le erbe dalla montagna Mahodaya, ma non fu capace di riconoscerle e compì di nuovo lo sforzo sovrumano di estirpare l'intera montagna e di portarla a Lanka. Quando Lakshmana fu guarito Hanuman riportò la montagna al suo posto originale.

85 La morte di RavanaNei pianeti superiori i Deva osservavano con apprensione. Rama aveva già riportato delle vittorie importanti e c'erano buone speranze che tutto andasse per il meglio. Ma ora a combattere c'era Ravana in persona. Conoscevano bene le capacità del Rakshasa. Indra si preoccupò e pensò di aiutarlo. Vedendo Rama impegnato in un feroce combattimento contro l’acerrimo nemico, il condottiero celestiale mandò il suo carro per aiutarlo.
Matali, il guidatore del carro di guerra di Indra, si presentò di fronte a Rama e gli offrì il suo aiuto. Rama accettò gioiosamente e montò sul leggendario carro. E la battaglia continuò a lungo, nessuno dei due si risparmiava e provarono colpi possenti: Rama colpiva Ravana, Ravana colpiva Rama, ma nessuno sembrava poter avere la meglio sull'altro. In una circostanza Ravana fu ferito da Rama e svenne sul proprio carro, e fu portato fuori dal campo di battaglia. Quando riprese i sensi, il Rakshasa rimproverò aspramente il suo auriga e tornò impetuosamente indietro.
Il combattimento riprese e si protrasse per molto tempo. Rama era affaticato e preoccupato. Non riusciva ad avere la meglio. Sentiva affievolirsi il desiderio di combattere. Tra i saggi che dal cielo assistevano al duello c'era anche Agastya.
“Rama, recita costantemente la preghiera al Deva del sole conosciuta come aditya-hridaya,” gli suggerì con voce eterea. “Grazie al potere di questo mantra sarai in grado di uccidere Ravana.”
Incoraggiato dal suggerimento del famoso santo, Rama riprese il combattimento con vigore, mettendo il suo nemico in grave difficoltà. E presagi favorevoli furono visti tutt'intorno a lui e se ne scorsero di cattivi dalla parte di Ravana. Rama ne era certo: quei segni indicavano che la vittoria era vicina. Lo scontro tra i due guerrieri fu il più feroce di tutti, ma il momento fatale arrivò.
Scagliando contro i colli del nemico potenti frecce, Rama staccò una dopo l'altra le dieci teste di Ravana. Ma appena mozzate, quelle ricrescevano istantaneamente. Ravana sembrava invulnerabile. Così Rama decise di usare l'arma di Brahma. Recitando con somma devozione le migliori preghiere a Brahma, il principe fissò una freccia nel suo arco e la scagliò contro il cuore del Rakshasa. Si udì un fragore assordante: la freccia colpì il bersaglio, il cuore del Rakshasa si spezzò in due. Ravana cadde sul terreno senza più vita.
E fu così che Rama, il figlio di Dasaratha, restituì la pace e la serenità a tutti uccidendo il più grande e crudele demone che esisteva.

86 Il lamento delle donne - La liberazione di SitaVedendo Ravana morto, i Rakshasa superstiti si arresero. Tutto si calmò: scese il silenzio.
Pian piano, con circospezione, dalle case e dai rifugi uscirono le prime donne, i bambini, gli anziani. I Vanara si ritirarono e li lasciarono uscire. Ovunque si vedevano scene di dolore. Chi era china sul corpo di un figlio, chi di un marito o di un padre: la scena che si presentava alla vista era pietosa. Persino Vibhisana si lamentò amaramente per la perdita di così tanti cari. Rama lo confortò e lo invitò a presenziare i funerali. E man mano che la sera calava il campo di battaglia assumeva sempre più un aspetto spettrale. Particolarmente patetico fu il lamento di Mandodari sui corpi del marito e del figlio Indrajit.
Il giorno stesso dei funerali di Ravana, Rama che era stato il maggiore artefice della vittoria incoronò Vibhisana re di Lanka. Tutti attendevano solo una cosa: di vedere Rama riunito a Sita.
“Sita ha sofferto per tanto tempo,” disse poi Rama ad Hanuman, “ed è giusto che venga avvertita al più presto del successo della nostra missione. Vai dunque da lei, e dille che ora Vibhisana è il re di Lanka e che egli desidera vederla.”
Rama era serio, controllato, quasi se la gioia della vittoria non lo toccasse. Tutti lo guardarono. C'era qualcosa di strano nelle sue parole. Perché aveva detto che Vibhisana voleva vederla? Hanuman corse da Sita. La trovò sconsolata, seduta sotto lo stesso albero nello stesso giardino. Quando lo vide il suo viso si illuminò. Gli occhi ansiosi interrogavano.
“Sono venuto a portarti le notizie degli ultimi avvenimenti,” disse Hanuman sorridente. “La tua sofferenza è finita. Questa ingiusta prigionia è giunta a termine. Sei finalmente libera. Lanka è stata conquistata e Ravana è stato ucciso insieme ai suoi parenti e ai suoi generali. Ora è Vibhisana il Signore di Lanka e desidera vederti. Preparati, dunque. Ti accompagnerò da lui.”
Tanta era la gioia che sentiva nel cuore che non poté proferire parola. Hanuman gettò uno sguardo alle guardiane che tentavano di nascondersi, terrorizzate.
“Principessa,” disse Hanuman con cipiglio severo. “Se vuoi posso uccidere queste Rakshasi che per così tanto tempo ti hanno causato dolore.”
“No, valoroso Hanuman,” disse Sita con un dolce sorriso, “non far loro del male. Non erano che delle schiave e agivano solo perché costrette dagli ordini di Ravana, che ha già ricevuto la giusta punizione. Non voglio altre vendette, non voglio altro sangue. Non far loro del male.”
E concesse a tutte la libertà. Poi si preparò incontrare Rama.

87 La prova della purezzaNel frattempo Vibhisana e Rama, aspettando l'arrivo di Sita, parlavano fra loro.
“Finalmente è arrivato il momento in cui potrai rivedere la tua Sita,” disse Vibhisana.
Ma Rama non rispondeva: con lo sguardo fisso, assorto in pensieri profondi, non rispondeva. Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Sita montò sul palanchino per essere portata di fronte a Rama, e i Rakshasa tenevano alla larga la folla che voleva vederla. Rama sentì che fuori della porta c'era un certo clamore e si affacciò dalla finestra. Vide che tutti si erano allontanati per far passare il palanchino e la cosa non gli piacque. Ordinò che Sita venisse fatta venire a piedi di fronte a lui. Quando dissero a Sita del desiderio del marito, lei scese senza fare alcun commento. Vibhisana capì che c'era qualcosa di strano nella mente di Rama: far venire Sita a piedi facendola passare tra la folla era un segno di mancanza di rispetto nei suoi confronti. Janaki entrò nella grande sala che era stata di Ravana. Quando vide Rama non poté dire nulla. Poteva solo guardare quel viso così bello, tanto simile alla luna.
“Oggi noi festeggiamo questa importante vittoria,” le disse Rama, “con la quale sei stata liberata. Così ho vendicato il mio onore. Tutto ciò è stato possibile grazie al valore di Hanuman, di Vibhisana, di Sugriva e di tutti gli altri. Sei libera, ora, puoi fare ciò che vuoi. Ma sappi che io non posso accettarti come moglie, perché ci sono dubbi sulla tua purezza. Se ti accettassi, nel popolo crescerebbe il malcontento e non mi rispetterebbero più. Quando un re non è rispettato tutto va in rovina, e la gente soffre. Io voglio che tutti siano felici, invece. Fai ciò che vuoi, quindi, ma senza una prova della tua purezza io non posso accettarti.”
Sita non credeva a ciò che ascoltava. Si chiese se mai le sue sofferenze avrebbero avuto fine. Perché doveva subire un destino così crudele?
“Se vuoi puoi chiedere protezione a Lakshmana,” continuò Rama, “o a Bharata, o a Vibhisana, o a Sugriva, o a chiunque altro. Ma io senza una prova chiara della tua purezza, non posso riprenderti con me.”
Erano parole dure, quelle. Così dure che solo per poco non spezzarono il cuore di Sita. Si sentì come colpita da un fulmine. Lacrime calde e copiose uscirono da quegli occhi così belli, così tanto simili ai petali del fiore di loto. Ci volle qualche minuto prima che Sita riuscisse a parlare.
“Perché dici queste parole così crudeli?” chiese. “Non basta quello che ho sofferto finora? La mia purezza negli atti e nei pensieri è sempre rimasta intatta. Chi non sa che sono rimasta nella casa di Ravana perché costretta?”
Ma non c'era molto da discutere. Rama la guardava con occhi pieni d'amore ma fermo nei principi che erano il filo conduttore della sua esistenza. E Sita capì che doveva dare la prova della sua purezza. O mai più vedere Rama. Si rivolse a Lakshmana.
“Prepara una pira,” gli chiese. “Io sono casta e pura e senza la minima macchia: entrerò in quelle fiamme. Una donna veramente casta non può essere toccata neanche dal fuoco. Se Agni mi risparmierà vorrà dire che sono sempre rimasta fedele a mio marito e che non ho mai pensato a nessun altro. Se invece morirò, quella sarà la prova della mia infedeltà.”
Rama non disse nulla. Il suo volto era immobile. A malincuore, secondo il desiderio di Sita, Lakshmana preparò una pira e vi appiccò il fuoco. Dopo aver offerto rispetti a suo marito e agli dei, Sita vi entrò con decisione. La folla gridò, creando un tumulto che scosse la città.
Mentre Sita era avvolta dalle fiamme, Rama sembrava di pietra; non si muoveva, non diceva niente, guardava il fuoco e pensava. E in quel momento, all'improvviso, si udirono delle voci celestiali: e i Deva con Brahma a capo apparvero davanti a tutti.
“O Rama,” disse Brahma, “perché ti stai comportando come se voi foste comuni mortali? Tu sai che tutti noi siamo tuoi subordinati e che la tua essenza spirituale pervade la creazione intera. Non fare questa ingiustizia a Sita, che è la più casta delle donne.”
Rama sembrava stupito da quelle parole.
“O creatore dell'universo,” chiese Rama con umiltà, “io sono Rama, il figlio di Dasaratha, e per nascita sono un uomo. Ciò che mi stai dicendo mi sorprende. Allora chi sono veramente io? Qual è la mia vera identità?”
“Tu sei l'incarnazione del Signore Supremo Narayana,” rispose Brahma, “il Dio glorioso che tiene in mano il disco Sudarshana. Tu sei l'eterno e invincibile Signore Vishnu, che è eternamente trasportato da Garuda. Tu appari in innumerevoli incarnazioni per proteggere i tuoi devoti e distruggere gli empi. E mediante esempio personale stabilisci gli eterni principi della religione e del comportamento umano.”
Così Brahma svelò pubblicamente la vera identità di Rama. E appena Brahma ebbe terminata la sua preghiera, Agni emerse dalle fiamme con Sita accanto a sé.
“Davanti a tutti testimonio che Sita è pura e incontaminata,” proclamò il Deva del fuoco.
Rama prese gioiosamente Sita per la mano e le sorrise. Sita pianse per la felicità.

88 Rama rivede suo padreFra i Deva c'era anche Shiva. Facendosi avanti, si rivolse al glorioso re.
“O Rama, grazie a te il crudele Ravana è stato ucciso e questo ha restituito la serenità a tutti i popoli. Qui, fra di noi, c'è tuo padre, Dasaratha, che stava solo aspettando il completamento del periodo promesso a Kaikeyi per accedere ai pianeti celesti. Il tempo oggi è terminato. Dasaratha tornerà con noi nei pianeti delle gioie che ha ben meritato.”
A quelle parole Rama guardò meglio tra i numerosi esseri celesti che erano di fronte a lui e scorse Dasaratha. Rama e suo fratello gli offrirono rispettosi omaggi.
“Mio caro figlio,” gli disse Dasaratha, “grazie alla tua rettitudine ora io posso raggiungere i pianeti dove la vita è lunga e gioiosa. Chi ha un figlio come te è davvero fortunato.”
Indra sorrideva a Rama.
“O Indra,” gli chiese Rama. “Se uccidendo Ravana ti ho soddisfatto, per favore, restituisci la vita ai Vanara caduti sul campo di battaglia.”
Il re dei Deva acconsentì. In quel giorno di gioia suprema tutti festeggiarono e furono immensamente felici.

89 Il ritorno ad AyodhyaRama aveva promesso al padre di restare in esilio per quattordici anni. Il tempo era quasi scaduto, e Rama si preparò a tornare ad Ayodhya. Salì sul carro Pushpaka, che era stato di Ravana e prima ancora di Kuvera. Prima della partenza, Vibhisana onorò i Vanara con ricchi doni. Poi partirono. Rama invitò a salire sul carro Sugriva, lo stesso Vibhisana che aveva manifestato il desiderio di accompagnarlo e altri Vanara. Poi la partenza, verso la tanto agognata Ayodhya.
Mentre il carro sorvolava i luoghi che avevano visto lo svolgersi dei diversi avvenimenti, Rama raccontava tutto a Sita: gli additò il campo di battaglia, il luogo dove Hanuman era atterrato, l'oceano attraversato con un balzo da Hanuman e via dicendo. Dopo qualche ora sorvolarono l'eremo di Bharadvaja, e Rama volle andare a salutare il grande saggio.
Felice di rivederli dopo il successo della loro missione, il saggio benedisse Rama e tutti gli altri, che risalirono sul carro e ripartirono. Quando Ayodhya fu vicina, Rama chiese ad Hanuman di andare avanti per avvertire Bharata del loro arrivo. Il glorioso Vanara entrò nella città e incontrò Bharata.
“O principe, ti porto una buona notizia. Tuo fratello Rama, sua moglie Sita e il virtuoso Lakshmana stanno arrivando. Non sono molto lontani da qui e domani l'incontrerai.”
Bharata non credeva alla meravigliosa notizia. Fuori di sé dalla gioia, riempì Hanuman di ricchezze e chiese notizie di Rama. Hanuman si sedette e raccontò tutta la storia, della quale Bharata era completamente all'oscuro.
Lo stesso giorno la città venne pulita, profumata e preparata per il ritorno di Rama, e dopo aver dato le necessarie disposizioni Bharata volle partire per andare ad incontrare Rama nell'accampamento. E quando i due fratelli si rividero, gioirono e si abbracciarono con trasporto.
Il giorno dopo Rama, che desiderava tornare nello stesso carro in compagnia di Bharata, chiese al carro celestiale Pushpaka di tornare da Kuvera. Dopo poche ore, nel momento esatto in cui terminarono i quattordici anni di esilio, Rama rientrò nella sua capitale.

90 Rama re di AyodhyaAppena furono entrati nella sala reale, Bharata giunse le mani in segno di obbedienza e invitò Rama a sedersi sul trono reale. Dopo che fu seduto gli parlò di fronte a tutti.
“Tu mi affidasti questo regno per le ragioni che tutti conosciamo. Ma ti spetta di diritto. Ora che hai mantenuto la promessa fatta a nostro padre passando quattordici anni della tua vita nella foresta, ti prego, riprendi la guida del regno.”
Rama sorrise ed accettò. Avendo ritrovato il suo regno, Rama fu incoronato e sfilò in processione per le strade della città. I cittadini di Ayodhya, che lo rivedevano dopo tanto tempo, lo acclamarono con entusiasmo. Tutti sembrarono aver ritrovato nuova vita. Tutti furono contenti del ritorno di Rama.
Dopo pochi giorni Rama congedò i suoi cari amici Sugriva, Vibhisana, Hanuman e tutti gli altri, che a malincuore partirono.

91 EpilogoRama governò il regno di Ayodhya per undicimila anni e le glorie di quel periodo sono descritte nel Ramayana di Valmiki. La gente non conosceva malattie, sofferenze o miserie: tutti furono felici per tutta la vita. Nessuno mai ebbe da lamentarsi e il cibo fu sempre abbondante. E neanche gli animali soffrirono sotto il regno di quel re santo. Durante il suo regno nessuno parlava di niente altro che delle glorie di Rama.
Il Ramayana di Valmiki consiglia a coloro che desiderano trovare la prosperità nella vita di ascoltare e recitare i racconti delle gesta del Signore con regolarità, in particolare quando narrate da persone sagge dal cuore completamente purificato.